venerdì 16 dicembre 2011

Togliere ai poveri per dare ai ricchi

A volte non basta, o forse non serve, un discorso ragionato. A volte reagisco d'istinto. È proprio in questi casi che un flusso di pensieri e sentimenti chiede di esprimersi subito, di uscire allo scoperto anche in una forma imperfetta e grezza, un grumo, in bilico tra sintesi e invettiva.
Una di queste reazioni mi è sorta dall'ascoltare, in questi giorni, ed oggi in particolare, parole per me inaccettabili come la recentissima: paghino anche "i meno abbienti".
L'espressione "i meno abbienti" che si spende e spande per non parlare della realtà della vera emergenza; ossia dei tanti poveri che ogni giorno aumentano di numero nella nostra sventurata realtà nazionale e non, mi sembra particolarmente offensiva. Particolarmente quando "i meno abbienti" ossia i poveri sono chiamati a pagare. I "meno abbienti" appunto: proprio quelli a cui si dovrebbe maggiore solidarietà ed attenzione, non necessariamente in forme di beneficenza o elargizioni umilianti, anche perché, in buona e concreta sostanza, parliamo di famiglie con bambini, e non di fantomatici bamboccioni a paghetta di mamma e papà, parliamo di persone che hanno lavorato davvero una vita, parliamo di famiglie con vecchi e malati, di persone deboli o impossibilitate ed incapaci di avere privilegi e un tenore di vita elevato.
A questi si vuole, cercando anche di orientare l'opinione pubblica perché si acconsenta volentieri, togliere.
A questi si vuole rubare il poco.
A questi spetta il nome di ladri dei poveri.
Ecco spiegato, casomai interessi, il senso di questa mia protesta in versi liberi.

Voi che togliete ai poveri

Il quarto stato - di Giuseppe Pelizza da Volpedo.
Un'immagine che parla alle coscienze


Voglio chiamare rapina,
quel che togliete ai poveri,
vorrei lanciarvi contro
quel che vi meritate:
sentimenti di pietra
come l’ira del giusto,
la sprezzante fatica,
lo sgomento innocente,
diffidenze di madri,
e dei vecchi i sospetti.

Vorrei chiamarvi servi
delle vostre bandiere,
quelle dell’apparenza
strisciante che v’inquina.
Ma non vi lanceremo
l’odio che meritate;
quello che odiamo, è chiaro
anche troppo, è il disegno
di quello che volete
e contro noi  tramate.  

Vorrei dirvi briganti,
ma voi non siete uomini:
perciò colpire i poveri
lo chiamate equità.
La rabbia vi fa gioco
nella vostra partita
volete la violenza
la vendetta tentate,
ma non ci cascheremo:
sbranatevi da soli.

Vorrei chiamarvi ladri,
voi che togliete ai poveri,
vorrei lanciarvi contro
quel che vi meritate
come Dante ai rognosi
ai ladri ed ai ruffiani
o agli usurai già gonfi
d’acqua che interna soffoca
voi vi soffocherete.

Voi che togliete ai poveri
solo parole e sdegno
vi arrivino roventi:
non siamo come voi.
Se pensate di averci
sotto il vostro tallone
toglietevi le sete,
lane preziose e fronzoli
vi troverete marci
sotto maschere putride.

Vorrei chiamarvi ladri,
perché togliete ai poveri,
vorrei lanciarvi contro
quel che vi meritate. 
Vi lasciamo alla vostre
pingui borie e arroganze .
Che vi soffocheranno
anche senza di noi.

mercoledì 14 dicembre 2011

Ettore - Segnali di vita

Sfoglio, a volte, gli album con le foto del tempo già vissuto. Ad aprirli ci vuole la frazione di secondo, ma poi è come entrare nella macchina del tempo e volerci rimanere. Guardo le immagini e mi arrivano pensieri, come una musica con parole a lungo sedimentate che continuano a parlare di cambiamento. Una canzone. Il tempo cambia molte cose nella vita il senso le amicizie le opinioni che voglia di cambiare che c'è in me si sente il bisogno di una propria evoluzione sganciata dalle regole comuni da questa falsa personalità. L’effetto è quello di guardarsi allo specchio in modo diverso e riconoscersi in quell’immagine, o forma, ritrovando se stessi come si è dentro, e non come qualcosa da esporre agli altri.Una nostra comune immagine riflessa (dove, come diceva un vecchio film, non c’è mai la verità perché quel che è destra è sinistra e quel che è sinistra è destra) non ci sempre ci soddisfa. Invece, se scrutassimo nello specchio degli occhi dell’animo, io credo che quello che vediamo potrebbe piacerci. No, non si tratta di rimpianti o nostalgia. Si tratta di voler bene ciò che siamo e, in buona coscienza, ciò che siamo stati. Per questo non cerco mai nessun surrogato del paradiso, per questo non voglio dimenticare nulla. Il tempo, è vero, cancella e cambia molte cose, ma solo ciò che non abbiamo davvero vissuto a cuore aperto, mentre ci fa anche amare di più tutto ciò che, come naufraghi senza tempesta, vogliamo ostinatamente portare con noi. Guardo, adesso, immagini scattare negli anni settanta, lo stesso periodo in cui sono nate le mie figlie, tuttavia io le vedo e sento simili a quelle della mia infanzia; mi convinco che non sarebbero troppo diverse e penso che sarebbe bello se in tanti si cominciasse ad aprire i nostri cassetti per mettere in circolazione tutte le vecchie foto riposte tra ricordi e sentimenti. Ci sono stati anni in cui tutto cambiava e il modo progrediva velocemente, ma il fondo dell’animo delle persone conservava un patrimonio di memorie e cultura, sentimenti e tradizioni. Ci sono stati anni in cui non siamo stati anime invase e sopraffatte o indifferenti. In quegli anni lo specchio era un oggetto ma era anche vanitas e un ragazzino si vestiva e metteva in ordine perché e come le mamme volevano fosse in ordine, e non come lo voleva la nike o un'altra marca qualsiasi e televisivamente permeante. E certamente non ci si vestiva o metteva in ordine per videizzarsi col telefonino. No, ripeto: Non si tratta di rimpianti o nostalgia. Si tratta di amare quello che siamo e, in buona coscienza, ciò che siamo stati e siamo rimasti senza tradimenti. Si tratta di lasciar parlare immagini da cui c’è ancora tanto da imparare su noi stessi. E’ con questo stato d’animo che mi sono ritrovata a guardar quelle ed altre immagini e ho chiesto di conoscere le storie che racchiudevano. Alcune me le hanno raccontate. Un racconto o una narrazione sono come un filo che si svolge meticolosamente da un gomitolo ben ordinato per diventare trama e tessuto artigianale o una maglia lavorata punto per punto. Ognuno ha una mano diversa e il tessuto o la maglia che sto costruendo io non potrà essere uguale ad un’altra. Ma in questo modo abbiamo già spezzato, senza rumore e definitivamente, un anello della catena dell’omologazione che ci ha portato dal mondo del sentimento e della ragione a quello della vanitas e del vuoto, che prima rifuggivamo. La storia che mi racconta, ad esempio un insegnante di una scuola sportiva è uno di quei fili di gomitolo che diventa una narrazione o tessuto. Sarà uguale e diversa? Non nella sostanza. Parla di Ettore, undici anni, che partecipa, nel dicembre del 197… alla Corsa delle tre contrade organizzata dalla Scuola Sportiva DEPA di Palermo. Nella foto, bellissima, si vedono tre ragazzini ed Ettore è il più alto. Ha un fisico asciutto e non sorride, ha i capelli un po’ arruffati e sembra affannato a differenza dei suoi compagni che sembrano tranquilli pur se presi dalla situazione. Il filo del gomitolo si dipana, e l’insegnante, perché questa storia dobbiamo narrarla insieme, mi racconta. “Ettore è nato in una famiglia che per tradizione ha lavorato con gli animali. Negli anni sessanta e settanta in seguito alla grande cementificazione del nostro quartiere che si estende dalle falde del Monte Pellegrino sino al mare, molti dei gruppi familiari che vivevano di allevamento del bestiame, continuarono questo lavoro non più in zone adibite a pascolo ma in stalla. Ettore ha aiutato la famiglia in questa fase. Lo ha fatto abbeverando le mucche, dando loro il fieno ed altri vegetali, aiutando il padre a trasportare l'erba raccolta alle pendici del monte, pulendo la stalla, distribuendo il latte munto presso le famiglie che lo richiedevano.” Dunque quel bambino quindi frequenta la scuola elementare e segue le lezioni; per lui sedersi al banco è come tirare un sospiro di sollievo e riposare il corpo per dare aria alla mente. “Nei periodi scolastici Ettore doveva svolgere parte di questi lavori durante la giornata, cercando di seguire anche le lezioni e di fare anche i compiti.” Ettore cresceva sano e robusto e, come è naturale che sia, provava un po’ d'invidia per gli altri ragazzini che non avevano di queste incombenze di lavoro.” Afferro quel filo e vedo Ettore correre verso la scuola sportiva e materializzarsi al fianco dei suoi insegnanti. Lo vedo sbrigarsi a finire con il bestiame, incombenza faticosa e che richiede accuratezza e precisione, per non perdere la possibilità di far parte di un gruppo e di seguire i suoi maestri. Per lui questi contatti sono ossigeno ed entrare nel campetto per presentarsi ai maestri è come spiccare finalmente il volo. Parallelamente penso che ragionare sulla sua condizione di bambino che aiuta la famiglia nel lavoro quotidiano e forse lasciarsi andare a giudizi anacronistici e moralistici parlando di lavoro minorile non abbia, oggi, nessun senso. La nostra presunzione moralista, dopotutto, si ferma sulla soglia di casa nostra e comunque lasciamo che il mondo vada come va. La condizione della vita quotidiana di Ettore era quella e non per scelta o accanimento, ma per ragioni storiche che dobbiamo accettare come tali. L’infanzia di oggi appare più tutelata ed ha garanzie formalmente diverse. Ma sulla probabilità che sia realmente più felice e fiduciosa sul senso dell’esistenza o che cresca genericamente meglio, abbiamo semplicemente staccato il tagliando di una scommessa che è tutta da verificare. Ora capisco quell’aria spettinata e lo sguardo che interroga e non dà nulla per scontato. Ogni attimo di scuola che per gli altri è un impegno per lui è invece un premio. “Alla DEPA “ mi dice ancora l’insegnante, “assieme alle attività proprie dei corsi della Scuola Sportiva abbiamo proposto gare di corsa, meeting di atletica leggera, tornei di calcio, etc con la partecipazione aperta a tutti i ragazzini del quartiere. Ettore, grazie a queste attività che hanno avuto sempre una valenza educativa, ha trovato l'ambito dove essere alla pari con gli altri ragazzini. Nei suoi periodi "liberi" ce lo ritrovavamo accanto sempre pronto ad accogliere il nostro assenso ad includersi nelle attività dei corsi.” Mi spiego anche le spalle e del ragazzo, nella foto leggermente curve, come se stesse per assumere la posizione di partenza e al tempo stesso si rilassasse in attesa dell’impegno di una competizione attesa e anelata. Mi spiego lo sguardo consapevole, da adulto. Le parole del suo insegnante documentano i fatti. “Ettore quando ha partecipato alla gara aveva 11 anni e frequentava la quinta elementare. La distanza della corsa era di circa 2 Km ed Ettore si è classificato tra i primi. Il percorso della gara lo abbiamo modificato per farla passare davanti la stalla di Ettore. Lui aspetta dunque solo il via per lasciar correre gambe e cuore, per slanciarsi a perdifiato gareggiando lungo le strade delle tre contrade, per confrontarsi con i compagni e magari accelerare al massimo negli istanti in cui passa davanti alla stalla della famiglia orgogliosa della sua partecipazione. Un passero, con il cuore grande, da uomo. Dopo la corsa tornerà a casa felice e continuerà il lavoro, finirà i compiti e si preparerà al riposo con la mente rivolta al suo domani che, lui spera, sarà diverso da quello di tutti gli altri. Segnali di vita nei cortili e nelle case all'imbrunire ….. “Inutile dire che noi insegnanti della DEPA tifavamo in modo un po’ velato per la vittoria di Ettore.” Tifiamo anche noi, seppure a distanza perché ora il tempo si è annullato e negli occhi di tutti c’è solo il numero 34 sulla maglia di Ettore, quel ragazzino asciutto che “dialogava con gli sguardi, con il sorriso maturo e intelligente, con la sua presenza sempre composta e che esprimeva fiducia, dialogava con la sua ricca e forte motricità”. La mattina della Corsa delle tre contrade Ettore svegliandosi non poteva sapere che dopo tanti anni si sarebbe ancora parlato della sua partecipazione alla gara. Ma anche se lo avesse saputo avrebbe probabilmente scrollato le spalle e pensato solo che si doveva sbrigare il più possibile per anticipare il lavoro. Ettore, un nome di famiglia, ma anche dell’eroe omerico che rappresenta insieme il mito della pietas famigliare e del coraggio ardito; Ettore 11 anni e tanti sogni a lui stesso indistinti. Ma l’impresa lo attende e non c’era tempo per pensare perchè uno dei suoi sogni è ora a portata di mano. Dunque si alza dal letto alla svelta per essere puntuale, alle nove nsieme agli altri ragazzi. Si veste: scarpe, calzoni lunghi, una maglietta su cui era già stato attaccato quel numero che è solo suo. Non era tempo di divise quello, né di maglie con lo sponsor o di marche con grandi firme: per tutti bastava la solita semplice maglietta e la determinazione ad esserci. I ragazzi di quegli anni sono ancora solo ragazzi, simili a quelli della via Pál. Non posso impedirmi di pensare ad una qualsiasi corsa di ragazzini oggi: denari e tempo da spendere per scegliere il look, la famiglia mobilitata, una colazione da campione del mondo in trasferta di lusso, le videocamere e telefonini in azione, parenti disposti lungo il percorso (in alcuni casi predisposti alla competizione o ad un tifo esagerato essi stessi). E poi? Poi nulla, si spengono le luci e molti non si chiedono “ti accorgi di come vola bassa la mia mente? E colpa dei pensieri associativi se non riesco a stare adesso qui.” Corri dunque Ettore! Siamo stati, e vogliamo ancora essere, simili a te; non certo migliori. Corri ancora Ettore perché la tua corsa è passione per la vita e le nostre anime non temeranno di specchiarsi nel vuoto. (Fine anni cinquanta, ero ragazzina, e giocavo a campana o correvo dietro a un palla. Ma prima di poter andare a giocare dovevo lavare i piatti e fare tutti i compiti. Appena era possibile scendevo subito sotto casa dove si giocava tutti all’Iliade. Sì perchè in prima media si studiava Omero, e nei cortili e nei campi della periferia della città dove vivevo allora noi passavamo i pomeriggi formando bande di Achei e Troiani. Io ero un guerriero acheo e avrei voluto essere Achille, ma quel ruolo spettava a Sergio, un ragazzino che si era procurato uno scudo di cartone (fatto con un piatto di quelli su cui appoggiare le torte di pasticceria) con relativa spada. Battaglie, scontri, duelli: corse e sassate. Il ruolo di Ettore era, ovviamente, di un ragazzino della banda opposta. Oggi vorrei essere nella sua.) Segnali di vita nel cortile e negli spazi all’imbrunire le luci fanno ricordare le meccaniche celesti.

L'amarena ed il tempo - di Mariaserena


L'amarena d'autunno












Arrossano a Novembre
le foglie d’amarena
ad una ad una lasciano
quasi un vuoto sui rami.

I tronchi tenui tendono
alle nuvole i rami,
e inizia un’altra vita
dai germogli autunnali.

Come un pensiero antico
tende a fruttare il nuovo
così dal ramo asciutto
fresca dolcezza attendo.

Non scorre invano il ciclo
delle stagioni e il tempo
frattanto lascio scorrere:
vecchio amico infinito.


giovedì 1 dicembre 2011

L'Isola Mare-Notte

L'Isola Mare-Notte. La fine dell'adolescenza

 Crepuscolo di mareggiata by Maria Serena Peterlin
Capì presto che la sua attrazione per il mare non era quella per giocare con la sabbia o le onde sollevate dal vento.
E nemmeno per la contemplazione struggente e banale di albe o tramonti, di lattiginosi cieli stellati, di aranciati fuochi meridiani.
L'attirava il respirare, l'ansimare, l'anelare; l'attraeva la forza espressa dalla marea, lo ipnotizzavano gli scogli su cui sentiva, indistintamente ancora, che i sogni potevano fracassarsi o vittoriosi proseguire, resi più forti.
Il mare gli si apriva come una strada; e sapeva, con irrazionale sicurezza, che ne avrebbe riconosciuto ogni pulsazione come un ritmo che era anche dentro di lui: la sua vita.
Imbronciato aveva fissato i suoi giochi da bambino: paletta, secchiello e soprattutto le formine (così le chiamavano) che riproducevano stelle e cavallucci marini, conchiglie e pesciolini. 
Per accontentare la mamma aveva provato anche ad usarle e aveva impastato la sabbia con l'acqua di mare, spolverato il fondo delle forme con altra sabbia asciutta, le aveva riempite con il miscuglio inumidito e ben pressato e rovesciate battendole con forza per ottenerne delle figure. Ma le ridicole creature sabbiose che ne uscivano si sbriciolavano: se lo meritano, aveva brontolato dentro di sé, sono noiose e finte.
Immaginava, quasi vedendola, la vita dei fondali, dove stelle e cavallucci, conchiglie e pesci dagli immensi occhi danzavano nell'acqua e nel sale dando senso, origine e durata al loro contrario: aria e luce.
Provava ad immaginarsi sommerso da quel mare letto nei libri di scuola, ma più ancora nelle favole. Allora tratteneva il respiro, vedeva se stesso guizzante tra le altre creature e prepotente e felice pensava che sì, per lui sarebbe stato possibile, forse facile vivere anche là sotto;  e che avrebbe fatto a meno della sensazione diretta e violenta dell'aria e della luce purché tutto fosse ridotto all'essenziale; e finalmente laggiù anche i rumori sarebbero stati spenti e  le paure avrebbero taciuto.
 Intanto trascorreva le ore seduto sull'orlo del confine tra acqua e sabbia; le gambe distese che aspettavano le onde, appoggiato sulle braccia, allungate a compasso all'indietro, con le mani sprofondate sulla rena asciutta e ancora calda. 
Teneva gli occhi chiusi e cercava di indovinare l'arrivo susseguente delle ondate, dei colpi del mare. 
Lo riscuoteva la voce di qualche ragazzino come lui; solo allora si alzava e si curvava come per togliere dalle gambe gli schizzi dell'acqua salata e nella stessa posizione restava qualche istante: le mani sulle ginocchia, gli occhi ancora connessi alla spuma che andava e veniva, il respiro ormai sincronizzato su quella misura acqua-terra.
Però una sera era rimasto talmente a lungo che la marea era risalita fino a circondarlo; e lui per nulla impaurito si era lasciato andare mentre, quasi sdraiato tra acqua e sabbia, afferrava per gioco qualche granchio disorientato che non riusciva a riguadagnare il mare.
Il sole non c'era già più e adesso le ombre avevano uno spessore più freddo e più limpido. 
Si accorse che non voleva tornare, e che voleva rimanere lì senza darsi un limite di tempo, che voleva capire cosa si prova quando la linea del cielo si confonde con quella delle acque, quando nel buio si alza il vento caldo della terra e cerca di gettarsi tra le onde. 
Voleva essere lì e capire cosa si sente quando, assente la luce, non sono più i sensi e la mente, ma sono solo il cuore e la pelle a captare e ricevere come un unico esteso organo percettore.
Gli sembrò che potesse arrivare quel momento, ed era anzi sicuro di aver capito il come, il dove, il quando.
Avrebbe ghermito lui quell'acqua infinita, superati quegli scogli e navigato sempre verso occidente, dove anche il sole si lascia cadere, per raggiungere la sua meta. 
Avrebbe pilotato da solo e sarebbe riuscito ad approdare alla fine del viaggio. E avrebbe saputo di essere giunto quando la linea del cielo e del mare si fossero di nuovo confuse senza più luce e il vento caldo della terra si fosse finalmente placato nelle onde.  

Nella sua Isola. 

mercoledì 30 novembre 2011

La mia classe non è.doc - Il mio libro




copertina:


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Libri ed ebook



Vita da Telespettatori Disperati

Vita da Telespettatori Disperati

Vita da Telespettatori Disperati (libro)

Pubblicazione a copertina rigida: €1R4.00
Dialoghi tra due telespettatori sulle performances televisive di politici e giornalisti. Oggi tutta la comunicazione politica, i comizi, i dibattiti e gli incontri, avvengono in TV. Non è sempre vero, però, che chi appare molto ottenga maggiore consenso, specialmente se critica gli avversari ma non propone nuove e più valide idee. I Telespettatori Disperati sono personaggi immaginari, ma rispecchiano i commenti ironici o meditati dei cittadini che si trovano costretti a tele-ascoltare e a tele-vedere, ma non sono mai chiamati a essere tele-ascoltati. E qualche volta si vendicano nelle urne.
Oggetto sconosciuto 
TELESPETTATORI DISPERATI - Desperate TV viewers

TELESPETTATORI DISPERATI - Desperate TV viewers

TELESPETTATORI DISPERATI - Desperate TV viewers (libro)

Stampa: €10.51 (Stesso libro in edizione economica)
Dialoghi surreali e satirici tra due telespettatori disperati a causa della informazione televisiva e della comunicazione dei politici. Nati su Web, i Telespetatori disperati continuano a vivere in rete e su queste pagine. Le loro storie spiegano perchè si possano perdere le elezioni o veder scendere la propria popolarità pur apparendo quotidianamente sul teleschermo. I telespettatori disperati, ironici e irriverenti, laici e anticonformisti, dimostrano che la televisione può ammorbare o divertire, ma non ipnotizza nè fa smettere di pensare.
FRAMMENTI MATERNI - FESTA della MAMMA

FRAMMENTI MATERNI - FESTA della MAMMA

FRAMMENTI MATERNI - FESTA della MAMMA (libro)

Stampa: €7.41
FRAMMENTI MATERNI è dedicato all'amore e al ruolo delle mamme. Abbiamo attraversato un troppo lungo periodo di anni in cui sembrava che si potesse perdere il significato e il valore di ciò che invece è fondamento di affetti e riferimento alla vita. La figura femminile materna rappresenta un intreccio di valori non solo simbolici, ma sostanziali e vitali. La maternità di una donna non dovrebbe essere costretta ad attendere tempistiche e opportunità né dovrebbe essere costretta a scegliere tra un figlio e un lavoro. La maternità non è un privilegio o un lusso: è una preziosa manifestazione della vita, è ricchezza per tutti. Poiché si tratta, come tutti sappiamo, di un cammino di impegno e di coraggio, ho cercato di rappresentarne alcuni aspetti attraverso persone e situazioni vere e reali: frammenti di quello che ho incontrato nella vita quotidiana in forma di brevi racconti, riflessioni e di semplici poesie.
I miei Lucignoli

I miei Lucignoli

I miei Lucignoli (libro)

Stampa: €11.18
M.S.Peterlin racconta il mondo giovanile e il difficile rapporto tra studenti e insegnanti e mette in luce anche retroscena e fuori scena di momenti ed episodi di vita scolastica che di solito sono riservati agli addetti ai lavori. I protagonisti sono i Lucignoli e gli adulti con cui si confrontano. Sono ragazzi come tanti, ma irripetibili; sono capaci di rabbia e di affetto, e di disperazione e di ironia, ci sfidano ma hanno bisogno di noi; l'autrice cerca di far parlare la loro giovinezza invitando ad ascoltarla con attenzione. Il mondo in cui loro e gli adulti vivono non è un paese dei balocchi, ma probabilmente non lo è stato nemmeno nel passato. Il titolo è dovuto al lungo ininterrotto amore di Maria Serena Peterlin per il libro di Carlo Collodi. Essendo impossibile imitare Pinocchio, ha voluto dedicarsi al suo compagno Lucignolo che tutti, insegnanti compresi, considerano cattivo per dagli un'altra possibilità. I nomi dei protagonisti sono modificati per rispetto della privacy.
La (mia) classe non è doc

La (mia) classe non è doc

La (mia) classe non è doc (libro)

Stampa: €13.09
Storia di affetti e di umorismo riflessivo. Una insegnante di lettere di scuola media superiore vive tre anni di dialogo con una sua classe molto speciale. Il libro racconta, in prima persona, una storia vera. E' un libro senza prediche e senza facili pedanterie. "Non esiste un solo modo di insegnare o di essere persone. Esiste una realtà, in questo caso scolastica, con cui si deve interagire inventandosi un linguaggio complesso e dedicato. E non esiste un modo per farsi rispettare ed amare diverso da quello di amare e rispettare per primi. Questa è stata la mia vita di insegnante e sono contentissima che sia andata così." Maria Serena Peterlin
EDITORIA DEMOCRATICA E POPOLARE
TUTTE LE OPERE SONO DISPONIBILI in edizione a STAMPA presso LULU.com oppure in edizione E-BOOK su web

I pensieri delle parole (per raccontare in versi) di Mariaserena Peterlin

Un libro, un eBooK di Mariaserena Peterlin

martedì 22 novembre 2011

Ricevimento generale (e immaginario?), dei genitori - di Mariaserena


Tempo di ricevimento di genitori. Succede nelle migliori famiglie. Ci sarà il doveroso tripudio di tailleurini sfoggiati per l'occasione, lo sbrilluccichìo prenatalizio di bigiotteria, il ticchettì-ticchettà di tacchetti e scarpette a punta, le scie di calde fragranze coloniali inutilmente contrastanti i 16° (gradi) umidini umidini dei locali scolastici ove regna un sentor di gioventù calzante adidas.

Spettacolare poi l'avanzata cipigliosa dei prof di area seriosamente tecnica: mocassino di cuoio stagionatissimo con fibbietta e punta di bignè, pantalone lucido sulle terga e arricchito da pieghe dietro-ginocchio e inguinali, camiciola alternativa e giaccone beigiolino foderato di pile scozzese. E poi la dotazione intimidatoria: registro d'ordinanza (personale) e fuori-ordinanza (di classe) con fogli di Excel e tabulati di assenze, note, ritardi, media delle cifre, media dei voti, media dell'auditel scolastico, mass media e così via calcolando calcolando.
Il tutto si svolge in aule allestite di corsa dopo le lezioni con ancora tracce vistose della presenza abituale dei selvaggioni. Certo, l'abito e il luogo non fanno il monaco... ma soprattutto l'apparato austero e compassato allestito per l'occasione franerà inesorabilmente all'apparir dell'indaffarato genitore col foglietto dei nomi dei prof in una mano e il cellulare nell'altra.
Ed ecco cosa si diranno i protagonisti Genit (=genitore) e Prof. 
Genit : - Sono il padre di Bragadin Marcantonio come va mio figlio?
Prof:      - 'sera
Genit: - Come va Marcantonio?
Prof:    - Sa com'è. La classe è una classe difficile
Genit: - Si ma lui quanto cià di voto? (gli suona il cellulare e lui risponde: -Ahò! sto da quello de Elettronica, tiemme il posto da quella de Matematica, mo me sbrigo e arrivo). A professò e il voto?
Prof :   - L'ultima verifica l'abbiamo fatta ieri
Genit: - ma de media?
Prof:    - Come di media... sa il ragazzo si adegua alla classe
Genit: - Ma a me della classe, detto fra noi, non me ne importa per niente...
Prof.   - E poi suo figlio sta sempre col cellulare in mano
Genit. - Aveva preso la sufficienza a palestra e gli ho fatto il cellulare nuovo, tecnologia bluetooth, 'na scheggia
Prof. - Dunque le dicevo
Genit. - (di nuovo gli squilla il cell: Ahò ... ma come te passano avanti, datte da fà no? questo nun se sbriga...) Ma de voto quanto gli ha messo lei?
Prof. -  Come le dicevo il voto è basso... quattro meno meno
Genit: - A professò er ragazzino mio cià palestra cinque giorni a settimana, calcio sabato domenica e mercoledì, poi nuoto e corso di chitarra, e lei me lo rovina così! Senza la media del sette non gli danno la borsa di studio della ditta...
Prof: - Io spiego e lui telefona...
Genit: A professò, l'ho viste e sentite le lezioni sue, lei dice pure le parolacce...
Prof: - Ma cosa dice, suo figlio è un maleducato!!
Genit: - Eccolo là il pregiudizzio, ma io me difendo sa? Qui chiamo l'ispezione, scatta la denuncia. Io a lei lo rovino
Prof.- Ma come si permette?
Genit: -omo avvisato... io lo dico per lei, Marcantonio cià due dvd co' tutti i filmini suoi... e n barca de fotografie, l'abbiamo messe pure su internet
Prof. - argh, sob.- poi si accascia sulla sedia
Genit. Allora pe' Natale aspetto la bella notizia; la sufficienza, ci siamo capiti...Al ragazzo abbiamo promesso il portatile nuovo. Sa lui ci lavora...

lunedì 31 ottobre 2011

Le battute dell'Ingegnere




Tengo fra le mani la mia tazza di tè della colazione. Una comune tazza bianca a fiori blu, non bella, di arcopal, forse una superstite di quelle in vendita come contenitore della nutella, quando ancora ne compravo per le figlie ragazzine; secoli fa. Le vendevano al supermercato, così come i bicchieri con i palloni di calcio o le auto di formula uno. Mi piace versare il tè e, subito dopo, il di latte che si sparge leziosamente a nuvola.  Incidentalmente penso anche a queste cose mentre bevo senza parlare.
Finito il tè, con ancora la tazza tiepida tra le mani penso... buono e caldo al punto giusto; poi parlo:

- Buono, chissà perchè, invece, se capita di prendere un tè al bar è sempre troppo bollente e senza sapore. -
- Questione di scambio di calore!- Risponde pronto l'Ing. che non perde mai una battuta. -
Già, quando uno conosce la termodinamica, la termotecnica ...

2. Automobile

Io guido tranquilla e di solito vado a velocità moderata: mentre guido penso.
Le cose più singolari mi vengono spesso in mente di mattina, appena sveglia, oppure mentre guido perché per me guidare significa mettere in moto anche i pensieri. Uso l’auto per andare dal punto di arrivo a quello di partenza senza avere problemi. Non mi importa molto di chi passa per primo, non mi interessa scattare al semaforo. Non sono una competitiva, figuriamoci se me la prendo per una precedenza.
Quindi metto in moto, vado e basta.
Ma l’Ing non la pensa così. E, nel caso raro in cui mi cede il volante,

venerdì 28 ottobre 2011

Una classe non amata - di Mariaserena Peterlin


Da che parte pende il giudizio?

Non date mai retta a chi dice di essere imparziale. Gli insegnanti non sono mai neutri di fronte ad una classe. Anche chi crede in buona fede di avere acquisito una professionalità tale da poter essere un tecnico della trasmissione del suo sapere in realtà tenta solo di darsi una stabilità emotiva che è molto distante da come realmente egli si sente. I ragazzi guardano e provocano, osservano e giudicano, si oppongono ma vogliono essere ascoltati, sono diffidenti ma vogliono essere amati.

E’ così e per questo affrontare una classe destabilizza il consueto personale equilibrio (quando c'è), mette in gioco e può crea problemi.

Molte volte ho ricevuto genitori che mi chiedevano : intervenga lei, ci parli, di lei ha stima e l’ascolterà. E promettevo e parlavo. Ma a sua volta il ragazzo o la ragazza mi aveva già detto, io voglio bene ai miei, guai a che tocca mia madre, ai miei genitori non deve succedere nulla; ma

lunedì 24 ottobre 2011

STORIA DI CRONACA IN DIRETTA


Ero dal meccanico, aspettavo che mi restituissero l’automobile.
Accanto a me c’era un uomo: quaranta circa, occhiale scuro ecc, look impositivo o giù di lì;  parlava al cellulare. Anzi non parlava, urlava aggressivo:

"Fai come ti pare, di te non mi fido più, mi ha preso per il c… già troppe volte; mi hai preso per il c…! Adesso che fai? vuoi cambiare scuola? io Ma che vuoi da me?

domenica 23 ottobre 2011

STORIA FRENETICA E FALSA

clik acceso / click spento
Si aggirava esaltato e frenetico nella rete, tra clikkate del mouse e scorrimenti della rotellina. I suoi occhi, appena velati dalle lenti che riflettevano i bagliori tenui dello schermo piatto, guizzavano roteanti nello scrutare le pagine del web 2.0.
 Come sospinto da una smania frenetica stabiliva una connessione fisica col mezzo. Lo saggiava allo stesso modo della rana a caccia d’insetti: solo la sua testa contemporaneamente congiunta al pc e ai numerosi cellulari, vibrava : tutto il suo corpo era teso e immobilmente rannicchiato su se stesso, come una molla pronta a scattare.
Certo non era facile seguire contemporaneamente tre chat, due forum, diversi dialoghi su social forum e la ragazza che, spalmata su uno scomodo divano verde

NICK - Una storia diversa

1. Inizio di una storia, come un'alba

La storia di Nick è diversa da tutte le altre anche se, a ben vedere, tutte le storie non sono mai uguali.
Però la gran parte delle persone sono ordinarie e comuni per cui possono essere raggruppate in categorie dalle caratteristiche simili, le loro storie finiscono per assomigliarsi.
Di solito queste categorie di esseri umani banali o ordinari sono concepiti in un momento in cui la Natura si riposa o si annoia.
In queste occasioni la Grande Madre indica con l'indice bianco della sua mano (ingioiellata di acquamarine blu, azzurre e verdiazzurre) uno dei tanti suoi scrigni e dice alla specie che si sta in quell'istante breve riproducendo: prendete una qualunque di quelle anime lì, andrà bene.

Quando invece la Madre si risveglia dai suoi lunghi sonni può accadere che

sabato 22 ottobre 2011

CLAUDIUS, LONTANO DA CASA



E’ pomeriggio a Roma, ma nel cielo  si vede già la luna anche se non è ancora buio.

Claudius ha tra i venticinque e i trenta; è salito sulla metropolitana, scenderà alla stazione San Paolo.
Claudius è contento, finalmente può viaggiare tranquillo, senza biglietto; finalmente, pensa, qui non ti rompe le scatole nessuno. Viene da un paese più triste e povero, più serio; là i poliziotti ti arrestano davvero per nulla,pensa, e lui ci è passato tre volte. Passato in galera, ovviamente. Galere vere, da piangere. Claudius ha fatto un viaggio lungo ma senza problemi; al terzo arresto il capo poliziotto gli aveva detto:
Ora basta; te ne vai.
Dove vado io?
Come dove? Fuori di qui, non vogliamo delinquenti da noi.
Non sono un delinquente, capo…