sabato 11 novembre 2023

Cesare Pavese, una riflessione modesta

 

Pavese: una passione. Provo a dirlo brevemente.
Rileggo La luna e i falò.
Un libro che cambia man mano che la vita ci cambia.
La prosa: meraviglia di un ritmo spoglio, arcaico, intarsiato di prestiti e costrutti dalla parlata regionale. Catartico il racconto che non risolve, non conclude, non spiega eppure, eppure sì è un magma simbolico senza tempo. Universale, eppure chiede silenzio.

Tali sono i grandi miti, e Pavese qui è mito.
E poi, in me modesta lettrice, dolore profondo contro chi, invece, corrivamente parla di un Pavese "suicida per amore".

Cito a memoria, che sono talmente travolta dalla voglia di dirlo senza far lezioni a nessuno: "non ci si uccide per amore di una donna, ci si uccide perché ogni amore, qualunque amore, rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla."


E mi vien voglia di dire : perché non leggete?Ma perché? Scusate, non ci son forse quelli che, come me,  studiano per anni e leggono e cercano, sentendosi insufficienti sempre, di conoscere gli autori nelle loro pieghe più affascinanti e difficili a dirsi e poi rinunciano a dare definizioni, giudizi? Ammettiamo: lo sai che hai letto tanto, ma non ti sembra ancora abbastanza.

Il suicidio degli altri ci sgomenta, è qualcosa che consideriamo irrazionale e troppo conclusivo. Forse proprio del tutto inutile.
"Un amore, rivela la nostra nudità", rivela l'essere indifeso che siamo.
Pavese si uccise, forse, per non difendersi dall'amore, non solo per amore.

mercoledì 7 giugno 2023

Detti e ridetti

 

Scavi nell’anima, invano ti cerchi,

nel tuo profondo trovi ricordi,

cicli di slanci, ritorni di lacrime.

poi tanti visi, occhi, parole.

Ma ci sei ancora?

Non sei poeta e non sei attore

anche stavolta

non riesci a mentire.





domenica 26 marzo 2023

Pure ci sarebbe almeno


Come se fossero versi
Se non ci fossero più occhi che contemplano la notte
né case bagnate da un fiume che trasporta
le replicate melodie ascoltate delle terre
lentamente attraversate,

e se non nascesse più la Luna
ad addolcire i sospiri e le lacrime
di noiosi poeti
che si ostinano a piangere per l’amore,
come quei mesti Pierrot
che vivono per lacrimare,

e se pure non ci fossero
abbastanza stelle
a illudere che altrove,
sì forse ci sia pace
e solenni giuramenti alla vita,

pure ci sarebbero almeno
una gonna fiorita e luminosa
e una testa pensosa e china;

e ci sarebbe quel gesto
che accarezza la musica
e la sprigiona dal legno,
dall’acqua, dalla notte,
dal sangue
o dalla vita
che la toglie al suo tempo.


Maria Serena Peterlin

mercoledì 22 marzo 2023

Terra (vita) collina

 


Colline tappezzate
poligoni a colori
ma sono vigne o ulivi
o grano seminato,
girasole t’affacci,
magari all’incontrario,
o solamente tu:
terra madre e sorella
arata e ripassata
sarchiata e rivoltata
argilla pronta al fango
o al trifoglio fiorito.
Rosso è il trifoglio
rosso, ma è sangue
che  non brucia
e bagna tra le dita.

Terra come la vita
con difformi pensieri
fatti, esperienze, doni
amarezze e illusioni.
Terra ch’è desiderio,
è scommessa: di vita.

                                                                  

sabato 18 marzo 2023

Scuola: un esame di maturità anni 80/90

Erano le fasi conclusive di una sessione di Esami di Maturità dell'epoca di fine anni ottanta. Luglio: un'estate romana senza ombre né tregue.
La scuola era afosa, come una cabina telefonica di quelle di una volta. L’aula dove si svolgevano le prove custodiva un armadio, dentro l’armadio c’era tutto l’armamentario per gli esami: elaborati scritti, registri dei verbali, materiali di cancelleria e tesine dei candidati.
Il presidente di commissione mi guarda e mi dice “Serè, abbiamo quasi finito, oggi facimmo lo scrutinio”. Sussultavo ogni volta che mi chiamava “Serè…” seria, e inappuntabile come solo io potevo essere in funzione di membro interno, mi sforzavo di essere cortese con quel millantatore di promozioni che si cambiava la camicia ogni tre giorni, anzi si rimetteva ogni tre giorni quelle che aveva lasciato a riposare nella valigia.

Erano altri esami: tutta la commissione veniva da fuori, i commissari stavano in albergo rilassandosi dalla vita famigliare, oppure spigionavano in qualità di ospiti presso parenti per risparmiare il gruzzoletto della diaria.
Piccole tristezze e piccole provvigioni. Una vita piccola, in fondo.

La scuola era afosa, dunque, e praticamente deserta; in segreteria avevano lasciato solo un impiegato e solo una bidella apriva e chiudeva l’ingresso principale.
I lavori della Commissione si erano prolungati, tra discussioni e contestazioni: quello di Elettronica, proveniente dall’Alto Adige aveva messo, tranne per due o tre casi, solo insufficienze.

Era un personaggio spinoso, aveva fatto storie e contestato e criticato per tutto il tempo la nostra scuola, l’ambiente scolastico romano e tutto ciò che non gli assomigliasse.
Lo scrutinio si presentava malissimo: sapevo che alcuni miei studenti stavano davvero in bilico, ero quasi certa che sarebbero stati bocciati.

Nel frattempo il presidente si asciugava il sudore, sempre con lo stesso fazzoletto piegato: “Non arriva?” 
Era la mattina dello scrutinio, tutti presenti tranne il commissario di Elettronica di cui mancavano notizie.

Lo aspettammo dalle 8 alle 13. Non era epoca di cellulari e lui, che era venuto dall’Alto Adige, alloggiava da misteriose suore di cui non aveva lasciato il recapito.

Riuscimmo tuttavia a ricostruire la sua residenza romana e ad avere il numero del suo albergo monacale; telefonammo: una voce sussurrò che era partito la sera prima.
Dunque eclissato. Senza spiegazioni.  

Era sabato pomeriggio ormai. Gli scrutini furono rimandati in attesa che arrivasse una sua comunicazione di rinuncia: non poteva, infatti, essere sostituito se prima non si dimetteva ufficialmente giustificandosi con un certificato.
Dopo tre giorni trascorsi come non è difficile immaginare arrivò il certificato, con raccomandata, in tarda mattinata: l’austero che aveva criticato la scuola di Roma, cialtrona e poco seria, ma aveva inviato un “falso” certificato da casa sua: era difficile infatti credere che, se stava così male, si fosse messo in viaggio per centinaia di chilometri. Sto animale (pensai) e non l’ho mai perdonato.
Purtroppo i suoi voti negativi rimasero scritti sui verbali insieme a quelli di altri.
Nonostante le lusinghiere promesse del Presidente che mi teneva a bada e mi diceva “tranquilla Serè, ci penzo io…” i più bravi uscirono con voti mediocri e i meno bravi furono bocciati.
(A quell’epoca il membro interno si batteva da solo, i colleghi erano tutti in ferie e lo sfigato rappresentante di classe era come il giapponese nella foresta. Si illudeva di combattere una guerra che già finita.)

Certamente i miei ragazzi bocciati non erano statati studenti perfetti e certo all'esame avevano mostrato lacune e non avevano brillato: ma avevano compiuto comunque cinque anni di studio, e avevano ottenuto una sufficiente ammissione, seppure modesta.
Se almeno li avesse bocciati una commissione come si deve, pensai, masticando amarissimo.

 

Aula vuota, disegno di un mio studente, Nicola N.



venerdì 17 marzo 2023

Quasi una allegoria grafica

 

STRANITà - STRANA_età

 

disegno di @Nadagemini












Quattro colori e poi solo tracce

che s'attorcigliano e formano suoni;

sono invisibili nascoste facce

sono strumenti e vibrazioni.

 

Una corona, un'arpa, una stella

e poi una nuvola coi suoi bagliori,

ritrae la penna, che non cancella,

capelli e riccioli simili a fiori

Ed ecco muoversi azzurre farfalle

su prati gialli e tronchi marroni

ecco le foglie verdi innervate

 

aprirsi lucide con nuova pelle

come pennacchi di faraoni

come parole di bocche amate.

 

mercoledì 15 marzo 2023

Pipistrello per scherzo

 

Con ali di velluto svolazza un pipistrello   


con aria da pischello vestito tutto dark

 

Lo vedo sì lo vedo e lo vedevo

lo vedo sì lo vedo

lo vedo e riconosco

lo vedo sì mi sembra

mi sembra un po’ tamarro

vestito dark velluto

e con pure il mantello

 

Sarà un eroe che vola

 o solo un pipistrello?


giovedì 16 febbraio 2023

Annunci Immobiliari


Spigolo tra gli annunci di vendita di case
(sì sto ancora cercando, esploro varie zone)
apro i link mi ritrovo dentro strane dimore
che sanno di vecchietti o signore d'età
probabilmente andati, ma passati di qua
ed ora a miglior vita
(figli e nipoti brindano: han vinto una partita).

Oggetti d'altri tempi, vecchio mobilio in legno,
modesti allestimenti, usati pavimenti,
cucine vecchio stile, angusti anche i comò,
taccio dei gabinetti di cui nessun parlò.

Ci son pure, assai spesso, vecchie poltrone o brande:
forse mi sbaglio? Temo il giaciglio di badante.
D'accordo il tempo passa e ogni stagione vola:
ma dai! c'è sempre un limite: son quelle tende, viola.

Segnali

 

Un merlo già fischia 

su rami ancora stenti,

ma si aprono mimose

e l'inverno si scuote

raccogliendo zimarre;

cerca casa quel merlo

tempo di primavera

che sbadiglia un sorriso:

sintomatico risveglio

da vecchie cartoline

smerlate appena, ai bordi.





domenica 5 febbraio 2023

Mandorlo a Febbraio

 Non ti sorprenda se cambio

e mi vedo diversa, riga in fronte,
mi guardo non illusa nello specchio
cercando in me quello che vorrei
essere, e non sono.


Non ti sorprenda il tempo
che passa e che stagioni tornino
diverse da un attesa convenzione
di frasi finte, fatte di cartone
che io questa non sono.

Come fiorisce il mandorlo a febbraio
così sfida il sorriso, presto il gelo
cricca la resistenza che non cede,
se appena torna verde alle colline
e ne ripete il miele.


martedì 31 gennaio 2023

Parole nella sera

 

Se mi affaccio alla finestra della nostra casa nel borgo di Petritoli vedo un lato del paese:  case allineate e come accroccate in uno stretto giro di mura, in quei momenti allora io penso che sembrano abbracciarsi e stringersi tra loro non solo per le ragioni delle antiche difese che suggerirono quella conformazione urbanistica, ma come per fraternità affettuosa.
Questo pensiero sarà comunemente condiviso?
E se il suono, anzi la voce o un richiamo, risuona tra quel gruppo di case antiche, arroccate che guardano insieme verso il mare e le colline, perché non possiamo desiderare che non sempre si pensi  al profitto, all'invidia, al prevalere, all'interesse tra persone ben più vive di quelle case?
Ormai è entrata nel comune lessico (o dovremmo dire citazionismo) la straordinaria e emozionante riflessione di Cesare Pavese, da "La luna e i falò" e che esprime insieme amore e disincanto: "«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». 
Se un borgo suscita queste riflessioni ed emozioni non dovremmo, anche noi, sentire che in quel  il gusto di andarsene via  c'è insieme la voglia di tornare, quella struggente ansia di essere atteso anche quando nemmeno i tuoi cari possono risponderti, ma riposano sereni proprio poche case più in là?

Eppure è vero che tra quelle mura e quei vicoli, come nelle colline che si distendono fino all'Adriatico
"
c’è qualcosa di tuo" .
Eh no, noi come quelle case siamo fatti per capirci e parlarci, ed è solo l'ignoranza non certo quella delle cose e dei saperi, l'ignoranza dei sentimenti, quel non sapersi lasciare andare oltre la materia, di cui ahimè siamo in parte fatti, che ci rende diffidenti. 
Invece quelle case là, né belle né brutte, ma così vere e resistenti, strette strette nella soave sera che scende per tutti, sono là a ricordare e suggerire: non siamo fatti per l'istinto materiale, ma per capirci e comunicare lasciando che il flusso dei sentimenti buoni ci attraversi ed esprima un comune messaggio e che per ascoltarlo valga la pena di attraversare anche i monti e le colline o perfino il mare.








venerdì 27 gennaio 2023

In attesa

 

                                           Appennino

A gradini i colori seguono i passi

di gennaio,  così come nel tempo

trascolorano e vanno

il rigido pensare insieme agli anni

 ammainati:

vele risolte in bianco.

 

E tutto è cielo

La coltre è senza sonno 

senza voce.

 

É muta la natura come attesa

alla ragione che esca dal letargo.

 

 

 

lunedì 16 gennaio 2023

In fuga

 

Torni e ritorni

Luce schizzata che gli occhi mi abbagli

lampeggi e illumini

tratti di smorfie di odio e di sbagli

torni e ritorni lontano mi scagli

polvere e vento,

spacchi il respiro mi strappi l'anima

soffochi piano nel mio tormento.

Volo lontano, parole di vento,

 

Lontano, non vedo, non voglio vedere.


(Mariaserena)



martedì 2 agosto 2022

Parole d'inni e infanzia

 

Che nascosto nei misti civeli  cantavo così, storpiando le parole e perciò senza capire cosa significasse, inginocchiata nel banco della chiesa dei Cappuccini, abitavamo a Viterbo, mentre seguivo il momento più solenne della funzione del pomeriggio e, mentre il prete alzava l’ostensorio dorato con l’ostia circonfusa da tanti raggi di metallo, pensavo che non capire facesse parte del mistero.
Di pomeriggio quando il campanile chiamava coi suoi rintocchi la mamma ci metteva i vestiti da fuori, quelli per uscire e, indossato il cappotto e calcato il cappellino di velluto blu, mi avviavo con mia sorella.
Odiavo quel cappellino blu come detestavo tutti i cappelli, quello aveva delle bande di maglia che scendevano lateralmente a coprire le orecchie e si allacciavano sotto il mento. Sento ancora le mani di mamma che me le allacciava, bello fermo. Con un fiocco. 

Scendevamo i tre piani di scale di corsa e via, fuori.
Era sempre bello uscire nel pomeriggio. Appena girato l’angolo della palazzina sfilavo dalla testa il cappello lasciando annodati i due nastri di maglia, lo tenevo sul braccio facendolo ruotare libera e felice.
L’ultimo tratto di strada verso la chiesa era in salita e s’incontravano altri bambini.
E poi dentro, nella navata, dove ci aspettava Padre Virgilio, un frate alto e simpatico. L’unico sopportabile. Ci divideva maschi e femmine in due file separate nei banchi. Dovevo rimettere il cappello perché in chiesa ci si copriva il capo. Seduti, in piedi, in ginocchio a seconda del momento e delle occhiate di una suora sorvegliante seguivamo un po’ sì un po’ no ma sempre rispettosamente e a volte bisbigliando piano tra noi. La suora recitava la preghiera del Rosario coi suoi misteri diversi giorno per giorno, seguivano le litanie e poi il sacerdote iniziava il rito dell’adorazione. I chierichetti dondolavano il turibolo coi grani fumanti di incenso. Mi dispiaceva un po’, ma non osavo nemmeno pensarlo, che solo ai maschi fosse concesso di farlo. L’incenso odoroso pervadeva l’ambiente, era il momento dell’Inno.
“Inni e canti sciogliamo o fedeli!”  e poi attendevo senza fretta ma curiosa la frase misteriosa: “che nascosto nei misti civeli”.
Solo dopo tanti anni, ripensandoci, ché allora di pensieri ne avevo molto diversi, ho capito che la scansione corretta delle parole: “nei mistici veli”. Quasi mi è dispiaciuto come fosse perso il senso, divenuto meno misterioso, e non fosse più suggestivo
Cantavo convinta i “civeli”, le perplessità di quel tipo allora non mi riguardano.
Era l’ora del tramonto e il cielo cambiava colore scegliendo il turchese e poi l’arancio, l’aria si faceva  ancora più fredda per la tramontana;  via dunque senza indugiare perché bisognava ritornare a casa.
Saltellando giù per la discesa c’era ancora il tempo però per chiacchierare con gli altri bambini, per ridere di niente, per esser felici con niente, per tenere l’antipatico cappellino sottobraccio ruotandolo, ancora allacciato dai nastri di maglia blu, come un’elica diseguale, come fosse un giocattolo.
Com'era bella la mia infanzia.



sabato 18 dicembre 2021

A MANO


Con una penna docile io scrivo

e scrivo senza ticchettio di tasti

con una penna verde e nera, e basta

a dire d’ogni solco che respiro.

 

(Mare che ti sospinge e ti raggiunge

sono onde dondolanti blu su bianco

onde che t’allontanano dal canto

mare che non raggiungi e ti respinge.)

 

Come pioveva allora, e come piove

su questa lunga pagina l’inchiostro.

Macchie sbavate in lunghe fila nuove

di parole in ricerca, e il senso è vostro.

Mariaserena