giovedì 4 luglio 2024

Ricordo di latte

 

La mia lattaia si chiamava Jolanda.
Era una donna di quelle col fazzoletto legato con le cocche dietro la testa e calato sulla fronte; tutte le mattine presto ci portava il latte a casa con un apposito bigonciolo di alluminio ben chiuso dal suo tappo che pendeva appeso a una catenella.


Jolanda mi sorrideva, le guance rosse, le mani da lavoratrice: infilava un mestolo nel contenitore e versava il latte direttamente nel nostro bollitore di alluminio. Mi ricordo il profumo di quel latte appena munto, freschissimo, e ancora crudo.
Sono sempre stata una che aspira i profumi, li cerca. Quel profumo non finirà mai di rallegrarmi mentre mi rattrista tanto che abbiano trasformato il latte in un alimento troppo spesso quasi velenoso. Proprio il latte. Proprio lui.

Oggi il latte non è arriva più dalle nostre mucche, splendide creature generose, ma di qualche ricca multinazionale che lo tratta e forse inquina e che ci intossica, non fa più bene i bimbi. 



venerdì 24 maggio 2024

Davide e Ciccio (due specie di giovane amore)

 Circa dieci anni fa, in una Roma sempre uguale e sempre diversa.

 

Davide e Ciccio, miei studenti

(due specie di giovane amore)

Davide ha diciotto anni, abita a Roma al Torrino, un quartiere residenziale con ambizione di discreta eleganza tra l'Eur e il Raccordo Anulare. E’ un lungo ragazzo magro che sembra uscito, se fosse possibile, da un incrocio tra un pioppo cipressino e un salice piangente. E’ al quinto anno di Istituto Telematico e affronterà l'esame di stato. Ha sempre studiato con diligenza e ottenuto dai professori un consolidato giudizio positivo grazie al quale vive di rendita amministrando il suo vantaggio, come fanno le squadre di calcio maggiori che, sul due a zero, rallentano il ritmo ed esibiscono danzati virtuosismi arrivando al 90° senza affaticarsi.

Ha gusti non di tendenza e non omologati alla massa dei giovani romani: infatti tifa Ternana e porta al collo la sciarpa verde-rossa della squadra che segue anche in trasferta.

Va da sempre in vacanza a Scauri dove d'estate gira in bicicletta per scoprire bellezze archeologiche e non, ma soprattutto per la gioia di pedalare.

Là è possibile incontrarlo (o anche solo immaginarlo) mentre, solitario e felice, si affatica: le lunghe gambe in moto come infaticabili stantuffi, la figura allungata e curva sul manubrio, i capelli crespi e biondi incollati alla testa. Il suo viso geometrico è illuminato da occhi chiari, apparentemente svagati e percorso dai fremiti percettivi di osservatore ironico e memorizzatore paziente. Ha alcune doti (responsabile, educato, buono, intelligente) ed imperfezioni (cocciuto, parsimonioso, po' esibizionista); oltre alla passione per la bicicletta, nutre tre appassionati, e forse insoliti, amori: gli autobus, i tram e i treni.

Spesso trascorre i pomeriggi viaggiando sulle ferrovie regionali lungo tratte percorribili in poche ore. Sale sul treno e sceglie uno scompartimento vuoto dove si sistema a suo agio e lì studia le lezioni per il giorno dopo o fantastica felice guardando fuori dal finestrino il paesaggio che fugge veloce. Atre volte invece sale su un autobus o sulla metropolitana soltanto per il piacere di viaggiare da un capolinea all'altro. Conosce a memoria non solo i percorsi, le stazioni ferroviarie e i nomi dei treni, ma anche quelli di tutte le linee urbane ed extraurbane dell'Atac di Roma delle quali cita senza incertezze numeri, fermate obbligatorie e a richiesta. E' in grado di predisporre con efficiente esattezza l'itinerario e i nodi di scambio tra metro, tram e autobus su qualsiasi percorso. Se ha voglia di un pezzo di pizza non scende sottocasa, ma attraversa la città con due linee di metro perchè quella della rosticceria della stazione Cornelia è, lui dice, più buona ed economica.

 

Anche Ciccio ha diciotto anni ed abita a Roma ma al Quartaccio, un quartiere popolare molto degradato e spesso in cronaca per fatti di malavita. Ha i capelli rasati, occhi azzurri da bambino su un viso tondo e regolare dall’espressione tra l’ironico e l’impaziente. Frequenta la stessa scuola di Davide ed è ripentente cronico e recidivo.

Anche Ciccio ama gli autobus e la Metro ed ha una sciarpa della squadra del cuore per la quale si esalta e commuove. Quando morì suo nonno volle mettergli accanto la maglia biancoazzurra della Lazio, e solo dopo questo gesto di complice tenerezza l'ha salutato per l'ultima volta.

Ma tanto Davide tende alla regola formale  e all'organizzazione quanto Ciccio è un trasgressivo insofferente alle prescrizioni e viscerale pur se affettuoso ed estroverso. Veste largo: pantaloni over size, t-shirt, felpa, cappellino, scarpe da ginnastica. La sua prof di lettere lo ha aiutato a scoprire la poesia moderna e si è entusiasmato per Baudelaire, Rimbaud e altri maledetti, Pound compreso. La prof gli ha regalato un rimario che aveva portato in classe e gli ha ceduto volentieri quando ha visto i suoi occhi accendersi di desiderio.

Ciccio non studia quasi mai forse perché si considera un artista. Ha un'inclinazione spontanea per il ritmo, la rima e il suono ed ha organizzato anche a scuola concerti della sua musica: l'hip hop, perché lui è un b-boy, un rapper e un writer. Infatti invece di seguire le lezioni di Elettronica, Matematica o Fisica disegna, oppure consulta il rimario e scrive versi per le sue canzoni.

Il suo vocabolario è inzeppato di verbi come taggare, spakkare o devastare, ma la sua è smania da uccel di bosco e non violenza da predatore; la sua sregolatezza scolastica è anche un'inevitabile conseguenza dell'altrove a cui la sua anima e il suo cuore tendono. Anche Davide tende all'evasione e alla fuga verso luoghi imprecisabili, ma vorrebbe raggiungerli programmando meticolosi orari e coincidenze il che è forse una contraddizione.

Ci sono tante specie di amore e Davide e e Ciccio amano in modo diverso.

Davide è uno sportivo contemplativo, adorante, immaginativo e pattuito e le ragazze gli preferiscono i ragazzi più omologati e firmati, dotati di automobile o almeno di motorino; infatti che gusto c'è ad uscire o vagare verso l'ignoto con un fidanzato che ha programmato un'evasione sentimentale in autobus?

Ciccio è un artista possessivo e dissacratore, ma si dichiara fedele anche se conquista e perde ragazze con facilità.

Davide è ordinato e preciso osservante dell'ordine costituito.

Ciccio è caotico e compie notturne incursioni per taggare con gli spray i vagoni della metro o le vetture degli autobus, però giura che non imbratterebbe mai un monumento o un muro di una casa.

Ciccio e Davide viaggiano sugli stessi autobus e metropolitane ma salgono ai capolinea in ore diverse e quindi non si incontrano se non a scuola che uno frequenta episodicamente mentre l’altro con assoluta regolarità.

Ciccio esce randagio tra ombre e oscurità  della notte romana cercando angoli e muri poco frequentati per dar vita alla sua sfida creativa, mentre Davide ama il cielo luminoso della città e i panorami estesi che ammira con suoi occhi geometrici disegnati sul suo viso triangolare ove trascorrono, come in una grafica futurista, i numeri degli autobus e gli orari dei treni sovrapposti alle immagini frammentate delle strade abbacinanti di Scauri percorse pedalando da solo. Sulle sue spalle un po’ curve conserva il calore del sole assaporato come una carezza mentre nel suo respiro, controllato come tutte le sue emozioni, ritrova il ritmo giusto per una nuova fatica: quella di una salita superata, di una meta raggiunta, di una prova di sé che racconterà, sornione, in classe imitando la voce di Giampiero Galeazzi.

Negli occhi azzurri di Ciccio si riflette un cuore impulsivo dove batte l'amore per la libertà, il rap, l'irragionevolezza. Per questo non è riuscito a convivere con la scuola, che l'ha meritatamente respinto. Ma se lo avesse accettato lui sarebbe rimasto volentieri in classe a subire Elettronica e Matematica e pur di raccontare e rivivere (con la stessa tenuità balzante di una bolla di sapone) le sue tag, le sue frequentazioni di centri sociali, di barboni, di personaggi alternativi e bevitori, di stazioni e gallerie della metro e di vagoni ferroviari visitati di notte a Termini, di birraterapia (suo il neologismo), di musica, di vita appunto. I suoi amici Orso, Omar, Tony, Buio sarebbero ancora capitati, più o meno clandestinamente, nella sua scuola, entrando dalla porta posteriore del bar per stare con lui durante quella stessa  ricreazione che Davide trascorre invece con i professori ai quali chiede puntigliose  spiegazioni ed ulteriori esempi alla lavagna.

 

Tra le tante disapprovazioni di colleghi e presidi, guadagnate in una vita di lavoro a scuola, quella sulla mia ostinata e solitaria difesa di Ciccio è stata certamente una delle più meritate. Ma gliela dovevo, visto che sull'hip-hop e i murales ho imparato molto da lui.

Ora so che il tempo non ha cambiato molto Davide il quale dopo aver superato l'esame di stato, ovviamente con il massimo dei voti, ha iniziato a lavorare a progetto con discreta soddisfazione.

E mi ha telefonato anche Ciccio: due volte. Quando è morto il suo papà e quando è nata la piccola bimba colorata che lui ha avuto dalla sua compagna colorata. Tutto ciò non gli ha semplificato la vita, ma esprime tuttavia la sua invincibile, incoerente e spericolata ricerca dell'altrove e della felicità.

 

sabato 13 aprile 2024

Fiore di primavera Elleboro

 

Lungo la strada ho visto
sotto il sole, tra polvere e vapori
di auto indifferenti
bottoni gialli al sole
fratelli, risplendenti.

Intorno a quei bottoni
perfino un po' sfacciati
fiorivano corolle
bianche, già stropicciate
a macchie un po' farfalle

come all'asfalto scialle.
Cercavo il nome, ma non ricordavo
e all'improvviso: "Elleboro"
quel ranuncolo grande
faceva suo il mio sguardo

sventolando dei petali
umili, ma a stendardo.




sabato 11 novembre 2023

Cesare Pavese, una riflessione modesta

 

Pavese: una passione. Provo a dirlo brevemente.
Rileggo La luna e i falò.
Un libro che cambia man mano che la vita ci cambia.
La prosa: meraviglia di un ritmo spoglio, arcaico, intarsiato di prestiti e costrutti dalla parlata regionale. Catartico il racconto che non risolve, non conclude, non spiega eppure, eppure sì è un magma simbolico senza tempo. Universale, eppure chiede silenzio.

Tali sono i grandi miti, e Pavese qui è mito.
E poi, in me modesta lettrice, dolore profondo contro chi, invece, corrivamente parla di un Pavese "suicida per amore".

Cito a memoria, che sono talmente travolta dalla voglia di dirlo senza far lezioni a nessuno: "non ci si uccide per amore di una donna, ci si uccide perché ogni amore, qualunque amore, rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla."


E mi vien voglia di dire : perché non leggete?Ma perché? Scusate, non ci son forse quelli che, come me,  studiano per anni e leggono e cercano, sentendosi insufficienti sempre, di conoscere gli autori nelle loro pieghe più affascinanti e difficili a dirsi e poi rinunciano a dare definizioni, giudizi? Ammettiamo: lo sai che hai letto tanto, ma non ti sembra ancora abbastanza.

Il suicidio degli altri ci sgomenta, è qualcosa che consideriamo irrazionale e troppo conclusivo. Forse proprio del tutto inutile.
"Un amore, rivela la nostra nudità", rivela l'essere indifeso che siamo.
Pavese si uccise, forse, per non difendersi dall'amore, non solo per amore.

mercoledì 7 giugno 2023

Detti e ridetti

 

Scavi nell’anima, invano ti cerchi,

nel tuo profondo trovi ricordi,

cicli di slanci, ritorni di lacrime.

poi tanti visi, occhi, parole.

Ma ci sei ancora?

Non sei poeta e non sei attore

anche stavolta

non riesci a mentire.





domenica 26 marzo 2023

Pure ci sarebbe almeno


Come se fossero versi
Se non ci fossero più occhi che contemplano la notte
né case bagnate da un fiume che trasporta
le replicate melodie ascoltate delle terre
lentamente attraversate,

e se non nascesse più la Luna
ad addolcire i sospiri e le lacrime
di noiosi poeti
che si ostinano a piangere per l’amore,
come quei mesti Pierrot
che vivono per lacrimare,

e se pure non ci fossero
abbastanza stelle
a illudere che altrove,
sì forse ci sia pace
e solenni giuramenti alla vita,

pure ci sarebbero almeno
una gonna fiorita e luminosa
e una testa pensosa e china;

e ci sarebbe quel gesto
che accarezza la musica
e la sprigiona dal legno,
dall’acqua, dalla notte,
dal sangue
o dalla vita
che la toglie al suo tempo.


Maria Serena Peterlin

mercoledì 22 marzo 2023

Terra (vita) collina

 


Colline tappezzate
poligoni a colori
ma sono vigne o ulivi
o grano seminato,
girasole t’affacci,
magari all’incontrario,
o solamente tu:
terra madre e sorella
arata e ripassata
sarchiata e rivoltata
argilla pronta al fango
o al trifoglio fiorito.
Rosso è il trifoglio
rosso, ma è sangue
che  non brucia
e bagna tra le dita.

Terra come la vita
con difformi pensieri
fatti, esperienze, doni
amarezze e illusioni.
Terra ch’è desiderio,
è scommessa: di vita.

                                                                  

sabato 18 marzo 2023

Scuola: un esame di maturità anni 80/90

Erano le fasi conclusive di una sessione di Esami di Maturità dell'epoca di fine anni ottanta. Luglio: un'estate romana senza ombre né tregue.
La scuola era afosa, come una cabina telefonica di quelle di una volta. L’aula dove si svolgevano le prove custodiva un armadio, dentro l’armadio c’era tutto l’armamentario per gli esami: elaborati scritti, registri dei verbali, materiali di cancelleria e tesine dei candidati.
Il presidente di commissione mi guarda e mi dice “Serè, abbiamo quasi finito, oggi facimmo lo scrutinio”. Sussultavo ogni volta che mi chiamava “Serè…” seria, e inappuntabile come solo io potevo essere in funzione di membro interno, mi sforzavo di essere cortese con quel millantatore di promozioni che si cambiava la camicia ogni tre giorni, anzi si rimetteva ogni tre giorni quelle che aveva lasciato a riposare nella valigia.

Erano altri esami: tutta la commissione veniva da fuori, i commissari stavano in albergo rilassandosi dalla vita famigliare, oppure spigionavano in qualità di ospiti presso parenti per risparmiare il gruzzoletto della diaria.
Piccole tristezze e piccole provvigioni. Una vita piccola, in fondo.

La scuola era afosa, dunque, e praticamente deserta; in segreteria avevano lasciato solo un impiegato e solo una bidella apriva e chiudeva l’ingresso principale.
I lavori della Commissione si erano prolungati, tra discussioni e contestazioni: quello di Elettronica, proveniente dall’Alto Adige aveva messo, tranne per due o tre casi, solo insufficienze.

Era un personaggio spinoso, aveva fatto storie e contestato e criticato per tutto il tempo la nostra scuola, l’ambiente scolastico romano e tutto ciò che non gli assomigliasse.
Lo scrutinio si presentava malissimo: sapevo che alcuni miei studenti stavano davvero in bilico, ero quasi certa che sarebbero stati bocciati.

Nel frattempo il presidente si asciugava il sudore, sempre con lo stesso fazzoletto piegato: “Non arriva?” 
Era la mattina dello scrutinio, tutti presenti tranne il commissario di Elettronica di cui mancavano notizie.

Lo aspettammo dalle 8 alle 13. Non era epoca di cellulari e lui, che era venuto dall’Alto Adige, alloggiava da misteriose suore di cui non aveva lasciato il recapito.

Riuscimmo tuttavia a ricostruire la sua residenza romana e ad avere il numero del suo albergo monacale; telefonammo: una voce sussurrò che era partito la sera prima.
Dunque eclissato. Senza spiegazioni.  

Era sabato pomeriggio ormai. Gli scrutini furono rimandati in attesa che arrivasse una sua comunicazione di rinuncia: non poteva, infatti, essere sostituito se prima non si dimetteva ufficialmente giustificandosi con un certificato.
Dopo tre giorni trascorsi come non è difficile immaginare arrivò il certificato, con raccomandata, in tarda mattinata: l’austero che aveva criticato la scuola di Roma, cialtrona e poco seria, ma aveva inviato un “falso” certificato da casa sua: era difficile infatti credere che, se stava così male, si fosse messo in viaggio per centinaia di chilometri. Sto animale (pensai) e non l’ho mai perdonato.
Purtroppo i suoi voti negativi rimasero scritti sui verbali insieme a quelli di altri.
Nonostante le lusinghiere promesse del Presidente che mi teneva a bada e mi diceva “tranquilla Serè, ci penzo io…” i più bravi uscirono con voti mediocri e i meno bravi furono bocciati.
(A quell’epoca il membro interno si batteva da solo, i colleghi erano tutti in ferie e lo sfigato rappresentante di classe era come il giapponese nella foresta. Si illudeva di combattere una guerra che già finita.)

Certamente i miei ragazzi bocciati non erano statati studenti perfetti e certo all'esame avevano mostrato lacune e non avevano brillato: ma avevano compiuto comunque cinque anni di studio, e avevano ottenuto una sufficiente ammissione, seppure modesta.
Se almeno li avesse bocciati una commissione come si deve, pensai, masticando amarissimo.

 

Aula vuota, disegno di un mio studente, Nicola N.



venerdì 17 marzo 2023

Quasi una allegoria grafica

 

STRANITà - STRANA_età

 

disegno di @Nadagemini












Quattro colori e poi solo tracce

che s'attorcigliano e formano suoni;

sono invisibili nascoste facce

sono strumenti e vibrazioni.

 

Una corona, un'arpa, una stella

e poi una nuvola coi suoi bagliori,

ritrae la penna, che non cancella,

capelli e riccioli simili a fiori

Ed ecco muoversi azzurre farfalle

su prati gialli e tronchi marroni

ecco le foglie verdi innervate

 

aprirsi lucide con nuova pelle

come pennacchi di faraoni

come parole di bocche amate.

 

mercoledì 15 marzo 2023

Pipistrello per scherzo

 

Con ali di velluto svolazza un pipistrello   


con aria da pischello vestito tutto dark

 

Lo vedo sì lo vedo e lo vedevo

lo vedo sì lo vedo

lo vedo e riconosco

lo vedo sì mi sembra

mi sembra un po’ tamarro

vestito dark velluto

e con pure il mantello

 

Sarà un eroe che vola

 o solo un pipistrello?


giovedì 16 febbraio 2023

Annunci Immobiliari


Spigolo tra gli annunci di vendita di case
(sì sto ancora cercando, esploro varie zone)
apro i link mi ritrovo dentro strane dimore
che sanno di vecchietti o signore d'età
probabilmente andati, ma passati di qua
ed ora a miglior vita
(figli e nipoti brindano: han vinto una partita).

Oggetti d'altri tempi, vecchio mobilio in legno,
modesti allestimenti, usati pavimenti,
cucine vecchio stile, angusti anche i comò,
taccio dei gabinetti di cui nessun parlò.

Ci son pure, assai spesso, vecchie poltrone o brande:
forse mi sbaglio? Temo il giaciglio di badante.
D'accordo il tempo passa e ogni stagione vola:
ma dai! c'è sempre un limite: son quelle tende, viola.

Segnali

 

Un merlo già fischia 

su rami ancora stenti,

ma si aprono mimose

e l'inverno si scuote

raccogliendo zimarre;

cerca casa quel merlo

tempo di primavera

che sbadiglia un sorriso:

sintomatico risveglio

da vecchie cartoline

smerlate appena, ai bordi.





domenica 5 febbraio 2023

Mandorlo a Febbraio

 Non ti sorprenda se cambio

e mi vedo diversa, riga in fronte,
mi guardo non illusa nello specchio
cercando in me quello che vorrei
essere, e non sono.


Non ti sorprenda il tempo
che passa e che stagioni tornino
diverse da un attesa convenzione
di frasi finte, fatte di cartone
che io questa non sono.

Come fiorisce il mandorlo a febbraio
così sfida il sorriso, presto il gelo
cricca la resistenza che non cede,
se appena torna verde alle colline
e ne ripete il miele.


martedì 31 gennaio 2023

Parole nella sera

 

Se mi affaccio alla finestra della nostra casa nel borgo di Petritoli vedo un lato del paese:  case allineate e come accroccate in uno stretto giro di mura, in quei momenti allora io penso che sembrano abbracciarsi e stringersi tra loro non solo per le ragioni delle antiche difese che suggerirono quella conformazione urbanistica, ma come per fraternità affettuosa.
Questo pensiero sarà comunemente condiviso?
E se il suono, anzi la voce o un richiamo, risuona tra quel gruppo di case antiche, arroccate che guardano insieme verso il mare e le colline, perché non possiamo desiderare che non sempre si pensi  al profitto, all'invidia, al prevalere, all'interesse tra persone ben più vive di quelle case?
Ormai è entrata nel comune lessico (o dovremmo dire citazionismo) la straordinaria e emozionante riflessione di Cesare Pavese, da "La luna e i falò" e che esprime insieme amore e disincanto: "«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». 
Se un borgo suscita queste riflessioni ed emozioni non dovremmo, anche noi, sentire che in quel  il gusto di andarsene via  c'è insieme la voglia di tornare, quella struggente ansia di essere atteso anche quando nemmeno i tuoi cari possono risponderti, ma riposano sereni proprio poche case più in là?

Eppure è vero che tra quelle mura e quei vicoli, come nelle colline che si distendono fino all'Adriatico
"
c’è qualcosa di tuo" .
Eh no, noi come quelle case siamo fatti per capirci e parlarci, ed è solo l'ignoranza non certo quella delle cose e dei saperi, l'ignoranza dei sentimenti, quel non sapersi lasciare andare oltre la materia, di cui ahimè siamo in parte fatti, che ci rende diffidenti. 
Invece quelle case là, né belle né brutte, ma così vere e resistenti, strette strette nella soave sera che scende per tutti, sono là a ricordare e suggerire: non siamo fatti per l'istinto materiale, ma per capirci e comunicare lasciando che il flusso dei sentimenti buoni ci attraversi ed esprima un comune messaggio e che per ascoltarlo valga la pena di attraversare anche i monti e le colline o perfino il mare.








venerdì 27 gennaio 2023

In attesa

 

                                           Appennino

A gradini i colori seguono i passi

di gennaio,  così come nel tempo

trascolorano e vanno

il rigido pensare insieme agli anni

 ammainati:

vele risolte in bianco.

 

E tutto è cielo

La coltre è senza sonno 

senza voce.

 

É muta la natura come attesa

alla ragione che esca dal letargo.