U. X.
I. Un ragazzo non è soltanto un ragazzo, un adolescente, un giovane, un diciassettenne, un diciottenne,
un figlio, uno studente, un allievo, un sognatore, un prepotente. Non è solo un
ribelle, che smania e si deprime, che sfida
e ha paura, giudica ma si aspetta pazienza e rispetto, provoca e se ne infischia
delle conseguenze.
Un ragazzo è un rapinatore di
sentimenti che detesta la solitudine, ma impone la sua intransigenza anche a
chi lo ama; e non patteggia per convenienza o per comodo, ma neanche per
temperanza. Un ragazzo ha il formidabile problema vitale di cercare se stesso,
ed anche per questo considera un torto le domande, le prediche, le sentenze.
E' già tanto insopportabile il
conflitto violento che porta dentro di sé che ne uscirebbe per non sentirlo più
urlare. E se ne avesse la forza prenderebbe in mano il suo cuore per rallentarne
il ritmo e trovare l'intervallo necessario alle storie di tenerezza e al calore,
ed afferrerebbe il suo respiro per ricacciarselo dentro e modularlo sul tempo della
vita e dell'amore. Ma nemmeno le sue storie e la vita sono soltanto vita e
storie per lui.
II. Solo una voglia ed un tempo per afferrare e capire più in là; sfide accettate come ossessioni,
ansie di chi cerca esperienze e si mette alla prova. Per sé, per i suoi amici.
Visi e occhi scuri, nervi e sangue
nel passo veloce, radunarsi e cercarsi, fare gruppo ed andare: le mani in
tasca, la testa insaccata nelle spalle, la complicità taciuta o sottintesa.
Ragazzi con aspetto da uomini, ragazzi
che gli adulti non giustificano e guardano con sospetto e diffidenza, e che per
loro ghignano parole di offensive e rapaci lusinghe. Ragazzi che non cedono
all'inganno e non mentono, chiusi e nascosti nel loro corpo già grande.
Corpi insofferenti, tagliati,
graffiati, feriti, frugati. Da temere.
III. Quella notte sopra di lui, bianco non fu un viso che interroga, né l'impallidire delle
nuvole sbrindellate dal vento. Fu bianco il bagliore, orribile agli occhi, e lo
smarrimento nel letto di ferro che sprofondava; i camici e le flebo, le
lenzuola estranee e l'acciaio, le plastiche e un'insegna con sopra una croce; lui
negava e taceva, ma sentiva agitarsi dentro il veleno raccolto per ore. Riconosceva ed udiva il
rombo cupo, il tremito e l'estraniante delirio quando, rigido e stordito, ha
avuto ancora un guizzo di rabbia, di rifiuto e di sfida contro il gorgo della
soglia finale.
Lo hanno strappato e riafferrato le
braccia e la lunga paura stretta da Nick, gli amici abituati allo sgomento seduti
in fila, fuori nel neon perchè accanto a lui solo il bene era rimasto.
E per lui poi l'orgoglio di
chilometri nell'alba percorsi serrando i denti sulla nausea, ma con passo
sempre più fermo per il pensiero inquieto. Che la madre il suo sonno continui,
e non sappia. Che un riscatto cominci da subito e non gli sia negato.
IV. Ma un ragazzo, grande come un uomo, è ancora un ragazzo, è incosciente violenza, è
ancora paura. Al contrario dei suoi giudici astiosi che sono diffidenza
incapace di amare, ottusa volontà di sopraffare e sottomettere: meschine necessità
dell'ossequio comunque.
Nemica è l'aura silente di chi parla
da solo e per sé.
E nemica è la cortina grigia di cocci
taglienti e di frasi smozzicate non concluse, di allusioni oltraggiose, di
mezzi pensieri sussurrati ammiccando.
V. E quanti ancora saranno i giorni da attendere e ancora quante le scale da scendere
senza ritorno, quante le fughe incoscienti dietro ad angoli e gli spezzoni di
tenebre, e quante le notti in cui ancora sospeso tra due quarti di luna e due
di nuvole stracciate lui starà sospeso su in alto sul filo più instabile?
Serena 03- 05 di tanto tempo fa
VI. Chiamo, lo chiamo, perché mi senta, perché scenda per trovare anche qui il suo passo, ma prego, sì prego che continui il
suo volo per afferrare e comprendere. Purché non prenda scorciatoie, purché
finalmente resista e risponda da grande alla voce della ragione: lucido e
freddo.
E con l'incendio solo nel cuore.
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