Noi che giocavamo a "Achei e Troiani"
I classici non si studiano
più, o se ne fa una favoletta semplificata come accade per l'Iliade, l'Odissea,
l'Eneide.
Eppure come sfuggire all'evidenza delle correlazioni tra l'oggi e il mito che
trasforma la storia in narrazione?
Penso alla corrispondenza tra i Canti che narrano estenuanti assedi e stragi
senza pietà, duelli e scempi di corpi, seduzioni e incantamenti che fanno
perdere la rotta, astuzie volte al male, filtri e incantamenti che stravolgono
la ragione e il giudizio.
Come non ammettere che sembra quasi che tutto, ma proprio tutto sia stato già
detto, scritto e cristallizzato dalla Poesia e dall'Arte e che oggi invece si
cancellano spudoratamente memorie, si anestetizzano sentimenti, si deviano la
ragione e il senso critico verso fruizioni banali ma violentemente suggestive?
Già in Prima Media si studiavano a memoria i canti di Omero, e ricordo che
giocavo, in una ingenua e forse patetica formazione di ragazzini divisi bande a
"Achei e Troiani", con scudi di cartone e spade di pezzi di legno.
Ho ancora davanti a me lo scudo di cartone del mio "capo", si chiamava Sergio, quello che impersonava Achille ...
Ma soprattutto ho ancora nella mente il pianto di Ecuba e l'abbraccio di Andromeda, l'umiliazione di Priamo, il trionfo crudele di Achille.
Confesso di aver imparato molti sentimenti anche giocando a Achei e Troiani.
Erano bei pomeriggi per strada, con il viso rosso per la tramontana che scendeva dai monti Cimini, mentre l'Italia ricostruiva le sue case.
Già. Quelli erano giorni da
vivere come dissetandosi a una fonte purissima.
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