sabato 18 marzo 2023

Scuola: un esame di maturità anni 80/90

Erano le fasi conclusive di una sessione di Esami di Maturità dell'epoca di fine anni ottanta. Luglio: un'estate romana senza ombre né tregue.
La scuola era afosa, come una cabina telefonica di quelle di una volta. L’aula dove si svolgevano le prove custodiva un armadio, dentro l’armadio c’era tutto l’armamentario per gli esami: elaborati scritti, registri dei verbali, materiali di cancelleria e tesine dei candidati.
Il presidente di commissione mi guarda e mi dice “Serè, abbiamo quasi finito, oggi facimmo lo scrutinio”. Sussultavo ogni volta che mi chiamava “Serè…” seria, e inappuntabile come solo io potevo essere in funzione di membro interno, mi sforzavo di essere cortese con quel millantatore di promozioni che si cambiava la camicia ogni tre giorni, anzi si rimetteva ogni tre giorni quelle che aveva lasciato a riposare nella valigia.

Erano altri esami: tutta la commissione veniva da fuori, i commissari stavano in albergo rilassandosi dalla vita famigliare, oppure spigionavano in qualità di ospiti presso parenti per risparmiare il gruzzoletto della diaria.
Piccole tristezze e piccole provvigioni. Una vita piccola, in fondo.

La scuola era afosa, dunque, e praticamente deserta; in segreteria avevano lasciato solo un impiegato e solo una bidella apriva e chiudeva l’ingresso principale.
I lavori della Commissione si erano prolungati, tra discussioni e contestazioni: quello di Elettronica, proveniente dall’Alto Adige aveva messo, tranne per due o tre casi, solo insufficienze.

Era un personaggio spinoso, aveva fatto storie e contestato e criticato per tutto il tempo la nostra scuola, l’ambiente scolastico romano e tutto ciò che non gli assomigliasse.
Lo scrutinio si presentava malissimo: sapevo che alcuni miei studenti stavano davvero in bilico, ero quasi certa che sarebbero stati bocciati.

Nel frattempo il presidente si asciugava il sudore, sempre con lo stesso fazzoletto piegato: “Non arriva?” 
Era la mattina dello scrutinio, tutti presenti tranne il commissario di Elettronica di cui mancavano notizie.

Lo aspettammo dalle 8 alle 13. Non era epoca di cellulari e lui, che era venuto dall’Alto Adige, alloggiava da misteriose suore di cui non aveva lasciato il recapito.

Riuscimmo tuttavia a ricostruire la sua residenza romana e ad avere il numero del suo albergo monacale; telefonammo: una voce sussurrò che era partito la sera prima.
Dunque eclissato. Senza spiegazioni.  

Era sabato pomeriggio ormai. Gli scrutini furono rimandati in attesa che arrivasse una sua comunicazione di rinuncia: non poteva, infatti, essere sostituito se prima non si dimetteva ufficialmente giustificandosi con un certificato.
Dopo tre giorni trascorsi come non è difficile immaginare arrivò il certificato, con raccomandata, in tarda mattinata: l’austero che aveva criticato la scuola di Roma, cialtrona e poco seria, ma aveva inviato un “falso” certificato da casa sua: era difficile infatti credere che, se stava così male, si fosse messo in viaggio per centinaia di chilometri. Sto animale (pensai) e non l’ho mai perdonato.
Purtroppo i suoi voti negativi rimasero scritti sui verbali insieme a quelli di altri.
Nonostante le lusinghiere promesse del Presidente che mi teneva a bada e mi diceva “tranquilla Serè, ci penzo io…” i più bravi uscirono con voti mediocri e i meno bravi furono bocciati.
(A quell’epoca il membro interno si batteva da solo, i colleghi erano tutti in ferie e lo sfigato rappresentante di classe era come il giapponese nella foresta. Si illudeva di combattere una guerra che già finita.)

Certamente i miei ragazzi bocciati non erano statati studenti perfetti e certo all'esame avevano mostrato lacune e non avevano brillato: ma avevano compiuto comunque cinque anni di studio, e avevano ottenuto una sufficiente ammissione, seppure modesta.
Se almeno li avesse bocciati una commissione come si deve, pensai, masticando amarissimo.

 

Aula vuota, disegno di un mio studente, Nicola N.



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