Sono pomeriggi in cui mi vien voglia di ripensare a quando avevo più spesso le ginocchia graffiate, bendate e incerottate che non sane e scattanti.
Poche storie a quel tempo: si giocava per ore ed ore all’aperto, e se cadevi
erano sassi e polvere che ti ferivano e le disinfezioni erano due: alcool o
acqua ossigenata, ambedue bruciavano da morire; poi una bella strofinata d’ovatta
e un giro di garza intorno al ginocchio.
Subito dopo via in fuga a giocare di nuovo: la stanchezza questa sconosciuta.
E niente palestre, niente piscine, parchi attrezzati o campi da tennis o
calcetto: intorno alle nostre case di ragazzini del dopoguerra crescevano altre
case e si correva tra pezzi di terreni attrezzati a cantieri edili. Cani che
correvano abbaiandoci dietro e gatti che si nascondevano sotto i mattoni per
non essere presi.
Spesso l’avvertimento era: attenti alla buca della calce viva! Una grande buca
squadrata era infatti attrezzata all’interno dei cantieri, era bianca e
burrosa, ma la dicevano pericolosa. E certamente non era il caso di caderci
dentro.
Si giocava spesso divisi in bande: Achei e Troiani ad esempio, oppure
semplicemente la banda di Sergio e la banda di Massimo. Gare di caccia ai
girini, ai saltapicchi, alle lucertole; gare in cui eccellevo; oppure partite
di pallone a cui noi femmine ottenevamo con molta difficoltà l’accesso. Di
solito le femmine giocavano alla sarta, a bottega, a campana, a palla
prigioniera, a un-due-tre stella. Ma io preferivo incassare qualche formidabile
pallonata e rimanere fieramente, se mi accettavano, tra i calciatori.
Se poi prendevi una sberla o uno spintone te lo tenevi, se cadevi e ti
sbucciavi i gomiti o le ginocchia si sputava sopra i graffi : la saliva
disinfetta! E cercavamo di non farci vedere dalle mamme affacciate alle
finestre perché il “torna su a disinfettare” avrebbe avuto come conseguenza l’esser
poi trattenuti a casa. L’immagine delle mamme incorniciate dalle finestre temo che si sia
perduta con la loro voce: torna su, è tardi! Anche lei.
Però se ci ripenso le rivorrei quelle ginocchia sbucciate, sputate, e poi disinfettate
trattenendo le lacrime e scuotendo la testa: no, torno a giocare.
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