martedì 9 ottobre 2012

Le onde del cuore

l'onda veniente




















Momenti e giorni in cui
a ondate ti sommergono
parole come estenuanti
flutti intermittenti
dalla lunga risacca.

E nel cuore quell’onda si chiude,
pesante ricciolo amaro.
Tarda molto a passare
la bufera inattesa.

mercoledì 19 settembre 2012

Parole io vorrei che come fuoco

Parole io vorrei che come fuoco



Parole io vorrei che come fuoco
percorrano lo sterile mietuto
dove le stoppie inaridite al sole
dopo la falce attendono l’aratro.

Parole io vorrei che come fuoco
marchiassero le pecore servili
inutili a se stesse, pronte all’uso
d’ogni mediocre cinico e rapace.

Parole io vorrei, che come fuoco
scaldassero queste anime impotenti
restituendo vita col pensiero
di libera giustizia ed uguaglianza.

Parole io vorrei che come fuoco
separassero l’oro nel crogiolo
dalla materia impura e ne facessero
una spada splendente e senza sangue. 

domenica 8 luglio 2012

La luna e la notte




E la luna 
dirige la notte 
verso le sue ombre
mentre le nostre sembianze
impallidiscono nella realtà
dei sogni non invano
attesi.

sabato 7 luglio 2012

Parole io vorrei



luci notturne












Parole io vorrei, luminescenti
per scriverle nel buio della  stanza
mentre all’attesa, tra la veglia e il sonno,
il mio pensiero, infine, s’abbandona.

Essere non vorrei mentre io scrivo
in debito alla mente razionale
e nemmeno rileggere a formare
catene di parole riordinate.

Sospesa, scriverei per ricordare
momenti incoerenti in cui, nascendo,
senza ancora il respiro nella gola,
ebbi la voce pronta, al riso e al pianto.

Quel distacco mi pesa più di allora
né ritornare chiedo ma che solo,
solo il ricordo, viva lentamente
in un segno che sia luminescente.

sabato 30 giugno 2012

Passa la notte


opera donata da Susanna Garavaglia















Passa la notte, leggera,
con orme di gatto guardingo
che socchiude i suoi occhi,
perle fosforescenti oblique luci,
e mentre insonne i tuoi pensieri insegui
lei indifferente,
scandisce passo passo anche la vita. 
Eterno contrappasso.

martedì 26 giugno 2012

Mamma


mamma ed io



Amarti era facile
nei tuoi forti anni,
allora il tuo amore
dissetava
e mai bastava;
allora il tuo tempo veloce
bella ti rendeva
e sfuggente.
Cercarti era facile
allora
quando la giovinezza
incoronava i capelli lucidi,
la mano ferma e
l’ardente voce
Allora il tuo profumo
era buono come il sole,
leggero come la luna,
duro come il sale,
inebriante come la dolcezza
gustata a fondo.
Allora ci legava una catena ombelicale
tenace
mai separata, mai recisa.
Era facile amarti allora.

Poi quella catena
fu verità che opprime,
e più difficile fu amarti
ma più difficile
smettere.

Oggi io ti ritrovo
ma parvenza,
immagine perduta
di sogno e desiderio
eppure viva e presente
quasi braccia vicine
quasi vicina voce
e più di sempre
oggi figlia mi sento.
Eppure quanto è triste
il  non averti più,
e l’averti perduta.
Inutili le lacrime
lavano quei ricordi
e solo con il cuore
io posso dirti
mamma.

giovedì 26 aprile 2012

C'era una volta - Favola

(A Maria, la mia principessa e nipotina)




C’era una volta un regno
e c’era una regina

che fece la promessa
di dare in dote e in sposa
la figlia principessa
(dalle guance di rosa)

solo a chi le donasse
un drappo tanto fino
che lieve scivolasse
tra l’anello e il ditino.

Il premio tanto ambito
mise in moto denari:
duchi, principi e conti
ne spesero tesori

ad acquistar arazzi,
scialli preziosi e vesti
ornate a trine e pizzi:
ma fur sconfitti mesti.

Giunse un giovane franco
tornato dalla Cina
che sciolse un velo bianco:
e lo porse alla regina.

Altera e sospettosa
lei lo infilò pian piano
e vide con sorpresa
scivolar sulla mano

tra l’anello passando
e il dito quel bel velo.
-È una magia!- ella esclama
-non esiste tal filo!

Questo segreto voglio
comprare con moneta!-
-Non vale oro né “voglio”
non è magia, ma seta!-

Sorrise Principessa
dalla guancia di rosa
si cinse il bianco velo
e volò via, da sposa.


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giovedì 12 aprile 2012

Mia zia maestra


Noventa Vicentina negli anni cinquanta


Lei era alta e ben formata, io me la ricordo coi capelli grigi, ma nei suoi occhi brillavano intuizioni, ironia ed interesse per l’interlocutore. Mi piaceva molto e le volevo bene. Nella grande famiglia veneta, di mio padre, lei era la figlia maggiore: un riferimento importante per tutti. Ma per me era anche la zia maestra: un modello, un’autorità. Una che aveva sempre la risposta giusta, a volte una sentenza affilata a volte una dolcissima esortazione.
Come si diventa insegnanti? Anche così: con una zia maestra capace di trasmettere, quasi emanandola, la dignità di un mestiere che vuoi diventi anche il tuo.
E capisci che quel mestiere dà un senso non solo a una vita, la tua; ma dona anche ad una intera comunità una presenza di stile e sapere, senti che può arricchire il comune patrimonio di tradizioni, di scoperte quotidiane, di esperienze.
Palmira viveva a Noventa Vicentina ed ha insegnato quarant’anni nelle scuole del vicentino; quarant’anni che hanno compreso il fascismo, la seconda guerra mondiale e quella che adesso si chiama anche “guerra civile” ma che noi a casa chiamavamo la Resistenza.
Allora e negli anni seguenti la zia Mira ha fatto la maestra elementare.
Erano tempi in cui a un’insegnante si dava solo del lei.

Chi si era seduto nella sua classe, tra quei banchi che lei voleva allineati ed ordinati, si sentiva scolaro della Maestra F... (*) per sempre; e lei era “la signora maestra” per tutta la vita, anche per le famiglie.
Non è un eufemismo ricordare quanto duri siano stati quei tempi, ma nessuno l’ha mai sentita lamentarsi.
Tanti i suoi insegnamenti per me, ma il più importante per me è stato ricordarmi che ogni pomeriggio lei preparava le sue lezioni per il giorno dopo.

Ogni pomeriggio di tutta la settimana, di sei giorni su sette.
Non diamolo per scontato. 

giovedì 15 marzo 2012

Visita di studio alla Galleria Borghese


 "Ma che te li porti dietro a fare? Io non vado certo con gli alunni a visitare una mostra o una galleria, e tanto meno a teatro" mi dice la collega sobria e austera, loggionista, che non si perde una rappresentazione nemmeno se le viene la scarlattina; "beati voi di lettere che andate con le classi ai Musei e non pagate il biglietto" afferma il collega Varani-Grassi che racconta di aver visitato in Umbria tutte le mostre e le opere del divin Perugino mentre omette (eppur si vede!) di aver gozzovigliato tra cantine e caciotte,  salsicce  e pizze rustiche. "Ma come, escono un’altra volta? e io quando li interrogo?" geme la Sonaglini che programma tre compiti in classe alla settimana, Pasqua e Natale inclusi; "Questi li hai già accompagnati a teatro e adesso alla Galleria Borghese? Hanno avuto già troppi diversivi.", "Capace che poi pensano che la scuola è Bengodi..." conclude Alfredo, il prof di Elettronica, vagheggiando fra sé che magari a Bengodi c’è posto anche per lui.

E’ vero; li ho portati a teatro ed ho passato la mattinata in piedi passeggiando lungo le file delle poltroncine, come un vigilante nevrotico, perché ogni volta che si abbassavano le luci si udivano fischi, sghignazzate e versi intraducibili. Fortunatamente mi ha accompagnato Gabriella e insieme abbiamo controllato due classi. E’ stato necessario anche far capire che non si possono mettere i piedi sullo schienale delle poltrone della fila antistante, che non si fanno squillare telefonini, che non si mangia popcorn, né patatine al formaggio o al bacon che tra l’altro appestano l’aria con esalazioni da cibo per foche.
Frasi del tipo: "Ma che ce li porti a fare, in classe devono stare..." mi vengono appresso da una vita; e non mi sono troppo turbata nemmeno quando ho chiesto l’autorizzazione all’uscita e in Vicepresidenza, dove erano del consueto umore acidulo, mi hanno domandato "E chi ti sostituisce nelle altre classi?". Sempre per il solito motivo che nel corso A telematico non ci vuole andare proprio nessuno, nemmeno per una supplenza.
Non ho trovato la forza di polemizzare; e quindi ho ripercorso a memoria il tempo già perso in telefonate per la prenotazione, che si doveva chiedere con parecchie settimane di anticipo, la corsa fatta uscendo da scuola per trovare la banca aperta, la fila fatta allo sportello per versare, tramite il necessario bonifico, l’importo dei biglietti dei ragazzi, il fax di conferma dell’avvenuto bonifico, da allegare in fotocopia al fax che ero riuscita ad ottenere di inviare dalla segreteria in cambio di espressioni di infinita gratitudine. Dopo tutto non mi aspettavo ringraziamenti, ma nemmeno resistenze.
Ho dunque ascoltato l’obiezione assumendo un’aria svanita, ho glissato e… hanno ceduto.
Siamo andati. Ai ragazzi che preferivano essere accompagnati da me ho dato appuntamento alle otto davanti a scuola, agli altri, invece alle nove direttamente a Villa Borghese, davanti all’ingresso della Galleria.
A scuola sono comparsi solo i due Davide, gli altri sono andati per conto loro: qualcuno in motorino, ma molti con i mezzi pubblici.
Quando sono arrivata erano più o meno tutti già lì; sedicenni felici per la gita e per essere fuori al sole. Si sono sparsi nei prati di Villa Borghese smagliante nei verdi primaverili delle siepi sempreverdi, dei pini mediterranei, dei lecci, dei lauri, dei cipressi, dei platani, compresi quelli colossali piantati all’epoca del cardinale Scipione. Respiravano insolenti l’aria fresca e forse ne percepivano il profumo, anche se per tutti loro le piante sono soltanto e comunque alberi o fiori e non sanno distinguere un salice piangente dall’albero di Natale.
Mi hanno fatto notare "Ha visto, siamo venuti, siamo stati di parola." Dicevano così perché qualcuno è anche disposto ad anticipare i soldi del biglietto, ma poi vorrebbe considerarlo il giusto prezzo pagato per una mattinata di libertà, di non scuola.
Così ci siamo messi in fila all’ingresso;  ma quasi tutti avevano lo zaino e il casco che hanno dovuto consegnare al guardaroba mentre sospettosi mi chiedevano: "ma ce li ridanno poi?"
Si è quindi presentata la nostra guida: giovane, carina, professionale ed ostile. Mi sono chiesta come si fa ad avere ventitre o ventiquattro anni ed essersi già dimenticati di averne avuti sedici o diciassette.
Mi ha comunicato che sarei stata considerata responsabile per eventuali vandalismi causati dai miei studenti che, essendo di Istituto Tecnico, erano certamente meno preparati e sensibili di quelli del Liceo Classico.
Responsabile in che senso? Con quali mezzi avrei potuto eventualmente risarcire un danno, pur minimo o virtuale che fosse, causato nel visitare le opere del Canova e del Bernini, del Correggio, di Tiziano e Raffaello? E perché poi avrebbero dovuto danneggiare alcunché?
Infatti durante la visita non hanno quasi fiatato. Si appoggiavano l’un l’altro per non toccare nulla, trascinavano i piedi, e guardavano rilassati  gli splendori delle architetture, dei quadri, delle sculture. In realtà Ugo ha cercato di sfiorare qualcosa, una giovane giapponese molto graziosa incrociata per caso e troppo presa dal suo baedeker nipponico per badare a lui.
"Ragazzi piano; state vicini, non toccate nulla, non potete sedervi: sono arredi antichi." E, mentre la guida, veloce e schematica, ripeteva la sua lezione standard, chiedevo sottovoce a Fabio e Adriano, alcuni dei quasi umani: "Ricordi? abbiamo parlato della passione che nasce nel Rinascimento per il collezionismo d'arte e per il mondo antico; guarda i marmi e i soffitti affrescati. Il cardinale Scipione Borghese ha costruito queste stanze proprio per raccogliere i suoi tesori artistici: quadri, sculture, reperti romani... Che ne pensi di queste opere?", "Bello. Ma troppa roba", mentre Ugo che aveva inteso la domanda chiosava "Io mi venderei tutto; chissà quanto ci farei!"
E tuttavia due o tre di loro tentavano di interagire con la guida, proponevano qualche ingenua domanda e poi mi sussurravano "Mi sono interessato, non le faccio fare brutta figura!"
Non so se si debba credere che il contatto con il divino dell’arte innalzi e trasformi le menti e le anime; ma questo non è accaduto a quelle dei miei studenti; probabilmente se Orfeo in persona avesse suonato per loro avrebbero, al più, quasi civilmente sbadigliato o, alla peggio, ridacchiato.
La visita era terminata e non sembravano per nulla trasfigurati da tanta sublime bellezza, né hanno mostrato di aver percepito che avevano potuto accedere, senza attese, ad un luogo frequentato con  rispettosa meraviglia da visitatori di tutto il pianeta.

Però mi si sono affollati intorno chiedendo speranzosi : "Ha visto come ci siamo comportati bene? ci porta ancora fuori in gita? Adesso possiamo andare?"
Abbiamo riscattato gli zaini, i caschi e qualche giubbotto e poi subito fuori, al sole sul Piazzale del Museo Borghese e lungo la via dell’Uccelliera.
"Ragazzi come tornate?", "Con l’autobus… perché non viene con noi?" Era un loro modo per trasmettere un segnale affettivo generico, e tuttavia di partecipazione alle mie imprese.
Abbiamo riattraversato i prati lungo i viali già corsi al trotto moderato dalla carrozza di D’Annunzio/Sperelli e siamo arrivati sulla via Pinciana.
Davide P, il più alto, ha avvistato un autobus "Arriva il 910"  e subito infatti cominciava a recitare, come una litania vespertina l’itinerario completo del 910, compresi i capolinea, le fermate intermedie di andata e ritorno nonché le intersezioni con la metropolitana : "Mancini, Pinturicchio, Pannini, Melozzo da Forlì, Vignola, Tiziano, Pitagora....Rossini, Mercadante, Carissimi,….XX Settembre, Repubblica/metro A, Termini/metro A, B, e FS "…
Esibizionista, puntiglioso e maniacale Davide sa a memoria tutti i numeri e gli itinerari di tutti i mezzi pubblici di Roma.
Mauretto, invece, si era fomentato come al solito e strillava: "Correte saliamo, ci porta a Termini e poi prendiamo la Metro, venga venga pressorè!" Siamo saliti tutti insieme. Loro si sono infilati da qualsiasi porta aperta, senza inibizioni.
L’autobus era quietamente affollato da passeggeri diversi, e alcuni verosimilmente provenivano dai quartieri eleganti e signorili, (Pinciano, Parioli) collegati dalla linea. Signori distinti con l’eterno Burberry e signore in tailleur sportivo da cui si percepiva la costosa fragranza eau de parfum malgrado l’odore chimico dell’autobus, pensionati con l’ombrello nonostante il sole e alcune colf colorate e bene abituate che bisbigliavano in tono acuto, ma sottovoce tra di loro o al telefonino. L’ingresso dei miei ha causato una reazione immediata ed automatica di fastidio contenuto; sopraccigli inarcati, labbra piegate, sventolio di giornali e battiti nervosi di nocche guantate; qualche borsetta è stata più strettamente impugnata o serrata sotto morbide ascelle cachemirate, qualche orologio infilato sotto polsini fermati da gemelli cesellati. Non erano armati, non mordevano, non erano infetti; ma era come se avessero, tutte insieme, queste ad altre prerogative disgustose: non erano omologati. Loro invece erano evidentemente a proprio agio; si sono sistemati distribuendosi per tutto l’autobus, ma ne hanno occupato preferibilmente la parte centrale dove si sono seduti sui pochi posti liberi ammassandosi ai finestrini che hanno subito aperto come fanno sempre quando entrano in classe e spalancano le finestre, anche se fuori gela. Eccitati dal ritrovarsi tutti insieme hanno cominciato a sbraitare e a lanciarsi le solite battute mentre Davide P. imitava le voci dei professori e ripeteva le abituali frasi usate per imporre il silenzio. Ciò li ha ancora più accesi, ed hanno cominciato a cantare di tutto: da "Ma che ce frega ma che c’importa se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua" agli inno per la Roma "Lo sai perché la mia vita è tutta giallorossa, c’è una ragione, ho la Roma dentro al cuore, AS Roma, io non vivo senza te!",  "Sotto la curva, la Roma sotto la curva!" fino a "Fratelli d’Italia", con tanto di ritornello onomatopeico. Ci mancava il patriottismo. Ovviamente ho cercato di farli smettere richiamandoli a mezza voce e tirandoli per le maniche: Diego! Marco! Simone!. Non si è dimostrata una buona idea, perché oramai si sentivano liberi e dispensati, "mica siamo a scuola pressorè!" e inoltre perché i viaggiatori dell’autobus, che non mi avevano subito identificata come insegnante accompagnatrice, sentendo i miei concitati rimproveri l’hanno capito e mi hanno guardato con aria di commiserazione e rimprovero insieme. I ragazzi si sporgevano dai finestrini agitando le sciarpe giallorosse e attirando l’attenzione dei passanti, per fortuna l’autista, se non altro, non ha protestato; ho reso grazie, in cuor mio, alla fede romanista che riusciva a stabilire casuali sprazzi di simpatia, contenuta, ma non repressa, anche in qualcuno tra i presenti meno formali. Una vicina ha solidarizzato sottovoce con me: "Sono in pensione, insegnavo alle medie; mi pare che andiamo sempre peggio, certo che questi sono parecchio vivaci; e in classe come sono?" "Sono…così; non conoscono mediazioni e compromessi con le situazioni.  Sono naturali, selvaggi e spontanei; ma mi dispiace che disturbino!" " Non si preoccupi… in fondo sono ragazzi." Per tutta risposta alle richieste di smettere,  hanno improvvisato un coro che secondo le loro intenzioni doveva essere in mio onore "Ricci alè, Ricci alè, Ricci alè!" (il mio cognome da sposata) considerandolo un gesto affettuoso verso me che, imbarazzata e congestionata, desideravo ormai soltanto diventare invisibile o almeno sprofondare. Appena l’autobus è arrivato a una fermata da cui potevo prenderne un altro qualsiasi sono scesa quasi fuggendo.
Hanno continuato perseguitarmi sbracciandosi dai finestrini e urlando saluti e il mio nome indifeso al vento dorato di Roma. E sono stata felice.

Questo è un capitolo del mio libro "La (mia) classe non è.doc" 

Gatto a primavera



Sto,
come di primavera
un gatto alla finestra:
teorizzo l'assalto
agli uccelletti in festa.
Però troppo mi piace
quel volar cinguettando
e l'assalto è virtuale;
perciò io fermo resto.
Volo solo sognando.

mercoledì 29 febbraio 2012

SOGNO DI PANE


infanzia


Vorrei ripensarci anche solo stanotte,
e poi forse basta, ma tutta la notte
vorrei  ripensare al profumo del pane
sentirlo durare e, fragrante di vita
pervadere intenso i miei sogni;
infinita sarebbe la gioia e tornare
a sentire cos’era l’infanzia
la via non smarrita.

PENSIERI DI SERA



pensieri di sera


La testa mi vola
continuo a pensare,
il cuore si stanca
non vuole aspettare,
ridammi il profumo
quel caldo sentore
che avvolge e riscalda
una mano, l’amore.

Son solo parole,
ma a volte son tutto
son solo parole
che vanno da sole
amiche e compagne
che dicono un fatto
raccontano piano
sussurrano invano.

Son  solo parole,
che giocan con noi
il senso non nasce
col senno di poi;
ma nasce a contatto
tra suoni e colori
tra le ombre del chiuso
e il sole di fuori.

Venute a parlarmi
di un mondo diverso:
la nostra canzone
ch’è musica e testo
per poche persone
o molte, se buone.

giovedì 2 febbraio 2012

Rapsodia Lunatica di febbraio - Mariaserena


RAPSODIA LUNATICA
Luna di febbraio
densa di nubi e pioggia
opaca di linfe e di aromi
che della terra aspiri e attiri,
e che poi rendi con i raggi lenti.

Luna di febbraio
come un raggio di arpe 
misticamente vibri
su questo cielo
gonfio di vento,
voce sciroccale
quasi segnale
che avvince e attira
l’incauto profugo
dalle terre straniere.

Voce che illumini
il silenzio, e copri il dolore
con le onde nere di marea
e trascini e riprendi
chi s’innalza e ricopri
meccanica incessante
mai con lo stesso cuore.
Da te luna silente
prende l’auspicio
l’idea e il sorriso
la nuova primavera
indifferente al pianto.

E intanto scorre il tempo,
incessante il suo ciclo
che nella vita umana
è potatura e seme
è togliere e riprendere
ma senza possedere.
Chiudi di nubi il tuo manto, 
luna,
ed ascolta il mio canto.
Mariaserena Peterlin, 18 febbraio 2011